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La controversa tecnica del fracking usata anche nella Capitanata ad alto rischio sismico

Ultimamente, specialmente chi è attento alla tematica delle estrazioni
petrolifere, avrà letto/ascoltato spesso la parola “fracking“. Si tratta
di una tecnica di “stimolazione” dei pozzi petroliferi che permette di
estrarre più idrocarburo (gas, petrolio etc) del solito. Alcuni studi
scientifici hanno accertato che questa tecnica, che consiste nel creare
fratture nel sottosuolo, può provocare terremoti (“divertitevi” cercando su google e wikipedia).

Fate anche un giro sulla nostra petrolmap.

di Maria Rita D’Orsogna (dal suo blog)
The hydraulic fracturing stimulation technique pumping energized fluids
introduced in the Roseto-Montestillo field has proved to be very
successful in recovering well productivity

ENI Exploration & Production, 15-17 Aprile 2013, Cairo

Durante il periodo 15-17 Aprile 2013 un gruppo di ricercatori ENI ha presentato un lavoro dal titolo “Revitalizing Mature Gas Field Using Energized Fracturing Technology In South Italy” presso la
2013 North Africa Technical Conference and Exhibition a Il Cairo, Egitto.
Gli autori, Luis E. Granado, Roberta Garritano, Raffaele Perfetto,
Roberto Lorefice, Roberto L. Ceccarelli, tutti dell’ENI, affermano di
avere “rivitalizzato” un pozzo di gas gia’ sfruttato in passato usando
nuovissime tecniche di fratturazione idraulica che incluono l’uso di
fluidi “energizzanti” a base di zirconati.

Il campo scelto e’ quello di Roseto-Montestillo, nei pressi di Lucera e la concessione e’ la Tertiveri.

Nel testo si dice che a causa della delicatezza delle operazioni, si
sono dovuti usare molti accorgimenti in tutte le fasi di progettazione,
trivellamento, completamento e successiva stimolazione dei pozzi. E’
stato necessario usare “elevatissime pressioni di pompaggio” e hanno
avuto problemi con i proppanti, che servono a mantenere aperte le
fessure dopo le operazioni di fracking. Alla fine pero’ sono arrivati ad
“ottimi guadagni” in produttivita’ e allo stesso tempo hanno ridotto il
quantitativo dei fluidi di perforazione.

Purtroppo l’unico sito da cui la notizia e’ reperibile e’ quello della “Society of Petroleum Engineers”
e i dettagli sono pochi.

Dai siti ministeriali non vi e’ traccia di tale intervento: i pozzi
nella concessione Tertiveri sono elencati tutti come in produzione o non
produttivi e non vi sono altre specifiche.

Le domande che ci si pongono allora sono sempre le stesse:

Perche’ queste cose le dobbiamo apprendere dalla “Society of Petroleum
Engineers” in un convegno al Cairo e non da appositi enti informativi
italiani?

L’ENI aveva i permessi per fare fracking? Cosa
esattamente hanno pompato nel sottosuolo? Quanto tempo sono durate
queste operazioni? Quando e’ successo? La gente lo sapeva? In quali
altre localita’ si vuole fare fracking in Italia?

I nostri ministri lo sanno cos’e’ il fracking?

E veramente vogliamo andare avanti cosi, a casaccio? Che chi prima
arriva fa un po quel che gli pare e poi lo dobbiamo venire a sapere da
una mezza paginetta di un convegno in Egitto? E se non c’era il convegno
quando l’avremmo saputo?

Cosa aspettiamo ad aprire un
dialogo nazionale, non solo sul fracking ma in generale sul modo in cui
intendiamo proteggere (o non proteggere) il sottosuolo dalle trivelle –
di petrolio, gas, con fracking, senza fracking, in mare, in terra o per
stoccaggi di dubbia utilita’?

Infine: perchè non seguiamo l’esempio della Francia che ha vietato il fracking gia’ nel 2011?

FINE POST

sul Fatto Quotidiano una marea di commenti
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