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Quando gli slavi erano di casa sul Gargano

Armando Petrucci, nell’introduzione al “Codice diplomatico di Tremiti”, afferma che fra il X e XI secolo il mare Adriatico fu un elemento unificante, una sorta di ponte per le opposte sponde del Gargano e della Dalmazia: i contatti e gli scambi commerciali delle popolazioni che le abitavano erano frequentissimi.
E’ certa l’esistenza, fin dal VII secolo, di una via marittima avaro-sklavena dalla Dalmazia al Gargano, trafficata ancora nel X sec.; al 962 risale la presa di Siponto da parte del rex sclavorum Michele Visevic.
Una conquista pacifica perché gli Slavi dalmati avevano stabilito sul Promontorio delle vere e proprie colonie a Peschici e a Devia (tra i laghi di Lesina e Varano).
Il nome di Peschici del resto significa “sabbia fine”; il toponimo slavo Pjeskusa indica un suolo sabbioso (sulla costa dalmata la lunga penisola di Pelisac era chiamata in italiano Sabbioncello).

Il dialetto ha conservato vocaboli illirici, individuati già nel 1956 dal glottologo tedesco Gerhard Rohlfs.
La colonia di Devia era costituita da un gruppo di piccoli proprietari guidati da uno «iuppano» (ancora negli anni Cinquanta lo “zupan” era il capo- villaggio in molte regioni della ex Iugoslavia); di fatto indipendente dall’imperatore bizantino.
Questa comunità prosperò fino alla dominazione normanna, intrattenendo ottimi rapporti con gli slavi di Peschici e soprattutto col monastero di Tremiti. I benedettini fondarono, proprio in quel periodo, numerosi monasteri sulle isole antistanti la costa dalmata: la Dalmazia e la Puglia adottarono lo stesso tipo di scrittura, la beneventana di Bari, o dalmata, grazie alla diffusione che ne fecero i monaci tremitesi.
Ma gli slavi tornarono e in massa a Peschici e nel Gargano più tardi, verso la fine del Quattrocento, per sfuggire all’incombente dominazione turca.
Nel 1592 il canonico lateranense Timoteo Mainardi, nel regesto «Raggioni di Santa Maria di Tremiti», parlando di Peschici affermò che, prima della rifondazione slava, avvenuta nel 1500, vi era «solo la Torre dellj Prigionieri e poche casette dentro Peschici vecchia». L’intero nucleo abitativo fu dunque ricostruito d della Piazza sino al Castello.
I Morlacchi ( gli slavi erano chiamati così) vi fabbricarono anche poderose mura di cinta e Peschici divenne il baluardo delle città vicine contro gli attacchi saraceni, prima che fossero edificate le torri di Montepucci, Calulunga ed Usmai, in collegamento con tutte le altre del sistema difensivo pugliese.
In un documento del 1618 presente nell’Archivio di Stato di Foggia, il sindaco di Peschici Matteo de Boscio, riferendosi agli Schiavoni e «adventitij», li ritiene pienamente meritevoli del favorevole trattamento fiscale riservato loro da Alfonso I d’Aragona, perchè «ha più d’anni cento che per loro e loro predecessori questa terra è abbitata, hanno fabricato le muraglie di essa, fatto la terra che prima non vi era, sono stati sempre reali e fideli di Sua Maestà».
I Morlacchi erano stati esentati per venti anni dal pagamento dei “fiscali” da un privilegio di Carlo V, confermato da Filippo Il con la seguente motivazione: Peschici era stata il baluardo delle Terre vicine. I suoi abitanti, prima che fossero edificate le torri viceregnali, in ogni occasione avevano «ammazzato più turchi che andavano dipredando in queste marine».
Non casualmente dunque il primo dizionario latino-italiano-croato pervenutoci è opera di Giacomo Micaglia, un gesuita nativo del piccolo paese garganico. Egli si definiva slavo di lingua, italiano di nazionalità ed originario, appunto, di Peschici; un religioso pronto a utilizzare la propria conoscenza della lingua per collaborare a un’iniziativa che, da una colonia, tornava alla madrepatria. Il dizionario servì infatti ai Gesuiti per la riconquista cattolica della Croazia: fu pubblicato nel 1649-51, in piena Controriforma.
Erano gli anni in cui a Peschici e a Vieste furono istituiti dei consolati, che mantennero dal XVI al XVIII secolo rapporti e collegamenti diplomatici tra le comunità slave in esse presenti e la città di Ragusa (Dubrovnik).
Solo la fine delle libertà ragusee con l’annessione all’impero napoleonico nel 1804 e la lenta progressiva assimilazione delle comunità slave del Gargano misero fine a questa storia. Che sopravvive nei toponimi: dove, se non a Peschici, possiamo ancora trovare nella toponomastica i nomi di “Sarbiche” e “Cruateche”?

di Teresa Maria Rauzino su L’Attacco  23-11-2010

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