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La storia della Foresta Umbra dagli scrittori classici ai giorni nostri

AGGIORNAMENTO:
Il dott. Maurizio Marrese segnala che il gufo reale non è presente in Foresta Umbra; la sua segnalazione risale a una errata interpretazione di un avvistamento di anni fa (probabilmente confusione con l’allocco).
Il prof. Saverio Russo segnala che già nel ‘700 integrità dei boschi del Gargano era stata compromessa da operazioni di taglio, soprattutto a seguito della carestia del 1764.

a cura del Col. Claudio Angeloro

La Foresta Umbra, oggi estesa per quasi 10.500 ettari, insieme ad altri ridotti comprensori boschivi di proprietà comunale, è quanto rimane della primigenia selva che in passato, e verosimilmente fino alla fine del 1700, ammantava l’intero promontorio Garganico

Il Nemus garganicum viene menzionato infatti da Marco Anneo Lucano, da Silio Italico e da Orazio che lo evocano, rispettivamente, per i fuochi destinati al rinnovo dei pascoli, per le fitte boscaglie, per la maestosità dei lecci e dei frassini o, piuttosto, per il cupo e forte stormire delle foglie al vento (1) Il Di Bérenger non cita la foresta garganica tra quelle primeve. Annota però come gli “esculeti” del Gargano (le leccete) risultassero tra le selve amministrate dal Fisco, che le concedeva in uso, a titolo oneroso, per il pascolo o per altre utilizzazioni.

L’origine del nome “Umbra”, che genera a volte qualche confusione circa l’effettiva localizzazione regionale della Foresta, non è del tutto assodato ed alcuni degli ètimi proposti – bosco abitato da popoli Umbri o rifugio di genti sfuggite ad alluvioni (ab imbre), appaiono insufficientemente comprovabili o gratuitamente costruiti. Molto più semplicemente, e verosimilmente, il nome è derivato alla foresta dalla densa ombra tipicamente prodotta dalle chiome dei faggi che ha indotto i primi viaggiatori e descrittori della stessa ad appellarla più spesso e naturalmente come foresta “ombrosa”, da cui: Umbra.
La Foresta garganica, infatti, risulta essere stata sempre indicata con il mero riferimento geografico-territoriale dagli scrittori antichi e da quelli di epoca medioevale appunto come foresta, bosco o selva, del Monte Gargano piuttosto che del Monte San Michele o del Monte dell’Angelo.

Inconfutabile rimane la constatazione che la Foresta, almeno nella parte sommitale occupata prevalentemente dai faggi, si presenta come un ambiente fortemente ombreggiato, piuttosto buio; di inaspettata frescura a fronte della vicina e soleggiata pianura del Tavoliere pugliese.

lo Sperone d’Italia, con tutta probabilità proprio per la presenza della selva che assicurava adeguata protezione e abbondanza di erbe e frutti commestibili, di selvaggina, di prezioso legno nonché per la presenza di roccia calcarea ricca di inclusioni di selce, facilmente lavorabile, è stato frequentato dall’uomo fin dai tempi più remoti: le pitture parietali di grotta Paglicci (Rignano garganico), le più antiche scoperte in Italia, attestano una frequentazione antichissima del Promontorio ascrivibile al paleolitico superiore (25.000 – 30.000 anni fa). È stato abitato in epoche protostoriche dai Dauni, forse colonizzato da popoli Umbri in epoca pre-cristiana, ed invero frequentato molto dagli abitanti della opposta sponda dalmata come suggeriscono le somiglianze dei reperti archeologici ritrovati in località di entrambe le coste.

La Foresta, oggi, si estende quasi al centro del Gargano diramandosi sul territorio dei comuni di Vico, Monte Sant’Angelo, Vieste, Peschici, Ischitella e Carpino da una quota di circa 300 metri fino agli 800 metri di Coppa dei Prigionieri (località così nominata per essere stata sede di un cantiere di lavoro per prigionieri austriaci durante il primo conflitto mondiale e prossima al Villaggio Forestale). Nell’ambito della stessa è dunque possibile osservare la successione delle diverse zone fitoclimatiche, variamente determinate dalle temperature estreme e dalle precipitazioni, che fanno registrare valori sostanzialmente differenti tra versante settentrionale e versante meridionale: è facile osservare, con l’aumento della quota, la diversa vegetazione caratterizzata, appunto, dalla predominante presenza, prima della roverella, poi del cerro, infine, del faggio. La tormentata orografia del Promontorio e la sua particolare posizione nel mare Adriatico, peraltro, generano particolari e diversi microclimi a livello locale che caratterizzano in maniera singolare la distribuzione della vegetazione: nel vallone di Sfilzi in agro di Vico, per esempio, alle quote più basse, dove l’aria fredda e più umida ristagna, è facile ritrovare il faggio, mentre sui versanti, diversamente esposti a nord o a sud, ad altezze superiori, è dato osservare la roverella o addirittura specie tipiche della macchia mediterranea, quali il lentisco o il leccio.

Frequentata una volta solo da boscaioli, carbonai, pastori e briganti, è oggi, con tutto il Gargano, meta di un considerevole flusso turistico che, localmente e temporalmente concentrato, crea qualche problema in ordine alla conservazione degli ambienti naturali.

Umbra rimane dunque il residuo di selve garganiche ben più vaste imponenti e suggestive, una volta estese sull’intero Promontorio.

Certo è che le decantate antiche selve hanno subìto nel corso dei secoli poderosi e continui disboscamenti in seguito ai quali la loro superficie si è drasticamente ridotta.

Verosimilmente l’epoca dei grandi disboscamenti ha luogo nel XVII e nel XVIII secolo durante i quali, con il vacillare prima ed il crollo poi dell’impalcatura del sistema feudale, complici le frequenti carestie e pestilenze, le popolazioni garganiche sono indotte alla frenetica ricerca di terreni da sottoporre a colture. Sul Gargano, in particolare, numerose testimonianze fanno risalire alla terribile carestia del 1764 la drastica diminuzione della superficie boschiva. Un altro sensibile assalto ai boschi si è registrato subito dopo l’unità d’Italia, negli anni successivi al 1861, allorquando molti boschi demaniali (ex feudali) vennero quotizzati ed assegnati ai comuni e ai cittadini.

Durante le due guerre mondiali, la Foresta Umbra, come gran parte delle foreste italiane, contribuì a fornire il legname necessario a fronteggiare le esigenze belliche: tuttavia, quantunque ingenti, i tagli vennero eseguiti con una certa razionalità e sotto la supervisione dell’Amministrazione forestale dello Stato. Merita ricordare che la Foresta forniva, tra l’altro, i listoni dai quali la Régia Fabbrica d’Armi di Terni ricavava i calci dei fucili “modello ‘91” che armavano i nostri soldati.

Il possesso

Con riguardo alla proprietà, la storia di questa Foresta come quella del territorio Garganico e, in fondo, dell’intera Italia dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476) è un confuso e continuo succedersi di conquiste, usurpazioni, cessioni, da parte di re, imperatori, principi e nobili locali.

Dopo i Dauni e l’egemonia di Roma, sulla “Montagna del Sole” si alternano Longobardi, Bizantini e Saraceni fino all’avvento dei Normanni.

Succeduto a Rainulfo Drengot, nel 1095, infatti, Signore di tutto il Gargano è il conte Enrico di Monte Sant’Angelo, più volte ribelle sotto il dominio di Roberto il Guiscardo d’Altavilla, Duca di Puglia e Calabria. All’epoca il Gargano vede la presenza di numerosi piccoli feudi ed altrettanti feudatari con assestamenti sociali, economici e politici piuttosto diversificati ed inclini all’autonomia.

Con il Re Guglielmo II di Sicilia (1153-1189), ultimo duca normanno tutta la contea garganica e la città di Monte Sant’Angelo sono elevate al rango di “Honor” (1177) e affidate in dote alla moglie Giovanna. L’Honor Montis Sancti Angeli rileva il prestigio legato al santuario di Monte Sant’Angelo, la cui origine si fa risalire al 490, e alla sua sacralità particolarmente venerata dai Longobardi. Sul suo territorio, costituito da terreni demaniali, cioè regi, si esercita infatti una autorità superiore rispetto a quella esercitata dal feudatario.

Cessata l’egemonia normanna, si alternano, in successione Svevi, Angioini e Aragonesi e perfino principi Albanesi.

Con il XIII secolo il Gargano vide la presenza della dinastia degli Hoenstaufen e con essa un periodo di sensibile sviluppo sociale ed artistico: Manfredi, figlio di Federico II, ricevette l’Honor di Monte Sant’Angelo da Papa Innocenzo IV, fondandovi nel 1260 la città di Manfredonia. Con Carlo I d’Angiò il Gargano passò in successione sotto il possesso di numerosi esponenti della famiglia reale: da Carlo Martello a Luigi d’Ungheria fino alla regina Giovanna I.

Nel 1459, Ferdinando I d’Aragona, re di Napoli (meglio noto come don Ferrante e figlio di Alfonso I detto “Il Magnanimo”) venne assediato dagli Angioini nella città di Barletta dove accorse in suo aiuto dall’Albania, con 700 cavalieri e 1000 fanti, il principe Giorgio Castriota Scanderbeg, non dimenticando i favori e la benevolenza riservategli in precedenza dal sovrano, nella accanita lotta che sosteneva contro i Turchi. Per dimostrare la propria riconoscenza il re, nel 1464, donò al nobile albanese l’intero ducato di Monte Sant’Angelo, l’antico Honor che comprendeva, oltre alla nostra Foresta, anche il vasto territorio di San Giovanni Rotondo. La signoria di Scanderberg e dei suoi eredi durò circa un ventennio, fino alla sopravvenuta dominazione turca sull’Albania conseguente alla morte dell’eroe. Nel 1484 la signoria sul feudo, ceduta da Giovanni Castriota, erede dell’Eroe, in permuta con le Terre di Soleto e di San Pietro in Galatina presso Lecce, venne assegnata da Ferdinando I al figlio Francesco che lo cedette a sua volta, poco tempo dopo a Carlo di Sangro, feudatario di Torremaggiore, Nel 1497 il ducato di Monte Sant’Angelo risulta assegnato a Consalvo di Cordova, viceré di Napoli che non curò molto il possedimento garganico.

Dalla seconda metà del 1500 al 1802, epoca della occupazione napoleonica, il possesso del territorio nel quale la Foresta è inclusa, si tramanda di generazione in generazione, nell’ambito della famiglia Oliva Grimaldi ramificazione della più vasta nobile e antichissima famiglia Grimaldi di origine francese, trasferitasi a Genova nel 1070 con Inigo Grimaldi. L’iniziale acquisto fu opera di Girolamo Oliva Grimaldi, Primo Signore di Monte Sant’Angelo, che per 30.000 ducati acquisì da Consalvo Ferrante, nipote di Consalvo di Cordova, l’intero vasto territorio costituente il feudo di Monte Sant’Angelo, trasformando così la proprietà demaniale dell’antico Honor in proprietà privata. La famiglia si trasmise queste terre per circa 3 secoli, attraversando il dominio spagnolo, austriaco e borbonico fino all’avvento del governo francese di Gioacchino Murat (1808-1815).

Intanto il Promontorio subiva le incursioni e i saccheggi dei Saraceni, numerose carestie, che si ripercuotevano negativamente sull’estensione dei boschi, e vedeva crescere l’ostilità tra i baroni e i cittadini che innescavano lunghe liti innanzi ai tribunali; situazione dalla quale non sfuggì nemmeno la famiglia Oliva Grimaldi. Durante il governo francese, temendo, a ragione, l’abolizione del feudo (intervenuto con la legge del 2 agosto 1806 emanata da Giuseppe Bonaparte), Donna Maria Antonia Oliva Grimaldi, Principessa di Gerace, Signora di Monte Sant’angelo, Nobildonna napoletana e Dama della corte delle Due Sicilie (per citare solo alcuni dei suoi titoli), cercò di vendere la tenuta di Umbra-Jacotente, una vasta foresta di circa 2.000 ettari, al Comune di Monte Sant’Angelo. Ma il governo di Murat annullò la vendita per i debiti che la principessa aveva nei confronti dell’erario e incamerò la tenuta. In seguito con ordinanze del 23 dicembre 1811 e 13 novembre 1813 il Commissario Ripartitore Biase Zurlo distribuì i terreni fra il Demanio ed il Comune di Monte Sant’Angelo: Umbra-Jacotenente fu assegnata al Demanio dello Stato. Il primo nucleo della Foresta divenne così nuovamente in qualche modo proprietà pubblica, costituendo dunque la base dell’attuale assetto giuridico della stessa. Con la caduta di Napoleone ed il ritorno dei Borboni, la tenuta rimase demaniale, ma nel 1819, in seguito alla concessione di alcuni terreni e del diritto di “torreggiare” concesso al cardinale Fabrizio Ruffo da Ferdinando, quale riconoscimento dei servigi resi da questi per la soppressione della effimera Repubblica Napoletana il 13 giugno 1799, sorsero controversie in fatto di confinazione tra Demanio, Comune di Monte Sant’Angelo e famiglia Ruffo che si trascinarono avanti per lunghi anni, fin quasi ai nostri giorni.

Nel 1861, con la caduta del regno delle Due Sicilie, la Foresta Umbra passò al demanio del nuovo Regno d’Italia.

In linea con lo spirito liberale dell’epoca, che, va detto, si manifestò anche con un ennesimo poderoso assalto al bosco, si pensò subito di alienarla, ma fortunatamente le contraddizioni e le confusioni relative alle misurazioni topografiche e alle stime del valore, ma anche alle pressioni dei Comuni limitrofi che nella vendita e nelle conseguenti possibili deforestazioni prefiguravano l’ulteriore inaridimento delle sorgenti a valle, indispensabili fonti di acqua per la coltivazione dei pregiati agrumi garganici, fecero sì che i tempi si allungassero notevolmente sicché, quando sulla base di una superficie misurata pari a 2.022 ettari e un valore di lire 2.983.284 si effettuarono le aste, queste andarono deserte. La ennesima misurazione della tenuta Umbra-Iacotenente fu eseguita nel 1882 dall’ingegnere Pepe che la determino in ettari 1911,75. Nel 1885, tre anni dopo, l’ispettore forestale Giacomelli misurò invece una superficie di 2.002 ettari. Finalmente nel 1886, I Ministri del Tesoro e dell’Agricoltura, di concerto, sospesero i tentativi di vendita e con legge 4 marzo 1886 la Foresta Umbra fu dichiarata inalienabile ed affidata all’Amministrazione Forestale dello Stato.

Nel 1910 con la legge Luzzati, la Foresta venne affidata all’Azienda del Demanio Forestale e la sua estensione veniva ancora indicata pari ad ettari 2.002. L’Azienda cominciò quasi subito ad incrementare la superficie della tenuta nello spirito produttivistico che ne caratterizzava l’operato.

Nel 1913, dal Ministero delle Finanze, venne acquisito il complesso boscato di Monte Barone, esteso 892 ettari. Con contratto del 15 agosto 1918 sottoscritto innanzi a Giuseppe Giardino, notaio in Peschici, viene acquistato dalla Società Anonima Prodotti Boschivi del cav. Carlo Bosco ed altri, per lire 155.000, il bosco Ginestra (l’attuale Ginestra superiore), in agro di Vieste, esteso 582 ettari e un anno dopo, con contratto del 16 aprile 1919 sottoscritto innanzi a Filidoro Donato, notaio in Frascati, dalla famiglia gentilizia Forquet, di origini francesi ma insediatasi a Napoli ai tempi della rivoluzione, il bosco Sfilzi, esteso 2.401 ettari per 2.221.238 lire. Dalla stessa famiglia Forquet, con atto del 29 agosto 1935 per notaio De Vita Giuseppe di Foggia, vengono acquisiti altri 76 ettari della tenuta Sfilzi, invero facenti parte dell’originario comprensorio boschivo ma, tenuti fuori dalla trattativa per contestazioni di confini in atto all’epoca tra i proprietari e il Comune di Peschici, risoltisi solo nel 1931 con una transazione bonaria. La tenuta Sfilzi, più prossima agli sbocchi commerciali del porto di Vieste e che appariva suscettibile di facili miglioramenti boschivi, venne infatti acquistata, pure ad un prezzo giudicato allora elevato, per incrementare il valore e la produttività dell’originario nucleo di Umbra-Jacotenente. Cosa che puntualmente ebbe luogo.

All’atto della redazione del piano di assestamento 1941-1961, il patrimonio demaniale reca una superficie complessiva di 4988,07 ettari.

Tra il 1956 e il 1975 vennero acquisiti al demanio, attraverso l’attività svolta dall’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali (A.S.F.D.) il complesso forestale di Ginestra inferiore di circa 279 ettari dalle ditte La Marca, Troiano, Giuffreda e Piemontese), e quelli di Manatecco, Giovannicchio, Coppa delle Rose, Isola Varano e piccole superfici boscate nel territorio costiero dei comuni di Serracapriola e di Chieuti, per una superficie complessiva di circa 4.544 ettari.

Alla fine degli anni 70 del secolo scorso, la superficie della Foresta demaniale Umbra, ammontava a circa 10.440 ettari.

Le infrastrutture e le utilizzazioni.

La Foresta è pervenuta al Demanio quale landa selvatica, ancorché sottoposta ad un intenso e sregolato sfruttamento, e priva di qualsiasi infrastruttura.

L’unica strada carrozzabile presente era costituita da quella che attualmente va dalla località Torre Palermo alla località Baracconi cosi nominata per essere stata la sede in passato delle strutture alloggiative degli operai impegnati nei cantieri forestali. Fra il 1887 e il 1892 viene costruita la strada Umbra-Iacotenente-Ginestra, mentre nel 1911 si costruisce la strada che attualmente collega il Villaggio Forestale con il vivaio Giacomelli. Appare interessante evidenziare che il trasporto del legname in foresta, per quasi settant’anni (dalla fine dell’800 fino agli anni 60 del ‘900) ha avuto luogo, oltre che con l’utilizzo di muli e buoi, principalmente su binari: all’interno della stessa si sviluppò infatti una considerevole rete ferroviaria del tipo Decauville (a scartamento ridotto) che collegava tra loro diverse sezioni e queste con la segheria allestita presso il Cutino d’Umbra prima, e poi con quella costruita in località Mandrione, posta a valle in agro di Vieste. Sul percorso di quest’ultima linea, cosiddetta principale, corre ora la strada provinciale 52 bis “Umbra-mare”. Molti tratti delle linee secondarie, che venivano montate e smontate alla bisogna, sono ancora visibili, ancorché prive dei binari, all’interno della foresta.

Nel 1888 ebbe inizio in foresta la pratica della fida pascolo, ossia la concessione del diritto di pascolo rilasciata a titolo oneroso ad allevatori locali e che ancora ha luogo nel solo demanio regionale.

Nel 1887 per sopperire alle necessità dei lavori di rimboschimento delle aree particolarmente degradate, viene allestito il vivaio, intitolato poi all’ispettore forestale Giacomelli, su una superficie di circa un ettaro. Nel 1891 lo stesso vivaio viene recintato con un muretto a secco (ancora al suo posto) e nel 1910 l’area viene ampliata raggiungendo l’estensione di 1,5 ettari.

La Foresta Umbra-Jacotenente, come si è avuto modo di accennare, prima della sua consegna all’Amministrazione forestale dello Stato, non venne mai sottoposta ad un trattamento razionale passando, nel corso dei secoli da stati di totale abbandono e incuria a veri e propri assalti depredatori. Solo nel periodo compreso fra il 1830 ed il 1852, sotto l’amministrazione borbonica operata per mezzo della Direzione generale dei ponti, strade, acque, foreste e caccia essa venne finalmente divisa in 80 sezioni (numero corrispondente agli anni del turno di maturità considerato per il faggio) per una utilizzazione in qualche modo programmata.

Nel 1856 le sezioni vennero diminuite a 16 con confini corrispondenti a delimitazioni più naturali e tale assetto continuò a permanere anche dopo il passaggio al demanio del Regno d’Italia fino a quando, affidata all’Amministrazione Forestale, non fu da questa programmata la sua gestione.

A partire proprio dal 1886, in esecuzione di detta gestione, la Foresta Umbra doveva essere sgombrata, nell’arco di 10 anni, da tutte le piante mature, deperienti o deperite che sarebbero state sostituite dalla rinnovazione naturale aiutata da quella artificiale. Nel 1895 fu elaborato il prosieguo del piano di cui sopra suddividendo la foresta ancora in 10 sezioni da utilizzare nel decennio 1895-1905 con le stesse direttive sopra citate. La durata di questo piano fu prolungata fino al 1908.

Intanto nel 1891 viene costruita la prima Casa Forestale in località Umbra (sede dell’omonima Brigata), e nel 1892, nei suoi pressi si costruisce una piccola scuderia per la custodia dei cavalli degli agenti. Nel 1893, nella medesima area fabbricata, si costruisce un forno per la cottura del pane. Nel 1899 si sistema con allargamenti e arginature il cutino d’Umbra, funzionale alla contigua segheria e oggi polo di particolare attrazione turistica della Foresta.

L’opera di svecchiamento e riordino del bosco era accompagnata da cospicui rimboschimenti, eseguiti soprattutto con resinose, faggi, carpini e aceri. L’introduzione della farnia e della rovere, richiesta in via sperimentale dal Ministero dell’Agricoltura nel 1889, dava pessimi risultati. A causa dell’eccessivo costo dei trasporti (mancava all’epoca la rotabile Umbra-Mandrione) in molte sezioni la produzione era limitata alla carbonella. Gli altri assortimenti legnosi venivano lavorati presso la segheria demaniale impiantata nei pressi del cutino di Umbra fra il 1889 e il 1890, nella quale si producevano soprattutto tavole, gambe per sedie e foglietti per le cassette d’arance destinate al vicino scalo di San Menaio, da dove aveva luogo una notevole esportazione di agrumi.

Alla vigilia della prima guerra mondiale, la provvigione della foresta permise di fornire, per le esigenze belliche circa 6.600 quintali di carbone e 255 metri cubi di legname per le ferrovie dello Stato. Nel periodo compreso fra il 1921 e il 1931, le utilizzazioni furono piuttosto saltuarie. Le nuove proprietà acquisite dopo la fine del primo conflitto mondiale, Sfilzi e Ginestra, giunsero allo Stato in condizioni non affatto buone: l’unico scopo perseguito dai precedenti proprietari era quello di ricavare i massimi profitti, con poca cura per la conservazione dei boschi. Le piante che cadevano al taglio erano le più belle e le più grosse, tanto che il bosco Ginestra si presentava addirittura con un soprassuolo arboreo alquanto regredito. Anche per il bosco Sfilzi risultavano cospicue utilizzazioni di faggi, ornelli e carpini di notevoli dimensioni. Fino al 1927, l’Amministrazione effettuò dunque solo lavori di ripulitura ricavando carbone e paletti per vigna.

Per il decennio 1932-1941 esistono dati più precisi: vennero sottoposte ad utilizzazioni diverse sezioni, ricavandone 152.000 metri cubi di materiale, tra cui pezzi di ponte e traverse ferroviarie. Il piano di assestamento del 1941 (2), valevole per il ventennio 1942-1961, suddivise la foresta in tre classi economiche: la fustaia di faggio, la fustaia di cerro e i rimboschimenti artificiali. Il piano ravvisava la necessita di procedere allo svecchiamento del soprassuolo e suggeriva, per le utilizzazioni, la tecnica dei tagli successivi uniformi. Purtroppo per le continue emergenze dovute agli eventi bellici prima e al travagliato periodo del dopoguerra, il piano rimase inapplicato. I tagli irrazionali, in special modo nella faggeta, si susseguirono, anche ad opera delle forze di occupazione alleate, interessando in particolare le zone più prossime alle vie di comunicazione nelle quali, perciò, la provvigione legnosa subì drastiche riduzioni. La revisione al piano di assestamento del 1941, giunse prematuramente, nel 1956, proprio a causa dei tagli straordinari che avevano completamente turbato l’ordine degli stessi e compromesso direttive e prescrizioni del piano. La nuova pianificazione, valida per il decennio 1956-1965 riconosce 4 classi economiche: una per il cerro, due per il faggio ed una “panoramica e dei rimboschimenti”. Per la classe del cerro, che si presentava oltremodo diversificata, vennero proposti solo tagli colturali che andavano dallo sgombero di vecchie matricine o di grosse piante stramature, ai diradamenti e alle ripuliture, prefigurando per il futuro il trattamento a tagli successivi con turno di 120 anni e periodi di rinnovazione di 10 anni (fino a 15); per le classi del faggio veniva prescritto il trattamento a tagli successivi a gruppi con turno di 90 anni e periodo di rinnovazione di 20; per la 4^ classe economica il piano prescriveva solo la ceduazione di tre piccole particelle di castagno: a 25 anni per due di esse e a 50 anni per l’altra.

Il piano di assestamento successivo venne redatto per il decennio 1971-1980: Prevedeva ancora 4 classi economiche (faggeta, bosco misto di faggio ed altre specie, bosco di conifere e latifoglie prevalentemente artificiali, ceduo di castagno); ancora per il faggio e il bosco di faggio prescriveva il taglio successivo a gruppi con turno di 120 anni e periodo di rinnovazione di 30 anni; per i boschi artificiali, interventi di ripuliture e diradamenti; per il ceduo di castagno tagli di sfollo a 5 anni, diradamenti a 10 anni, utilizzazione a 15 con rilascio di 60 matricine per ettaro.

Il 3 maggio 1978 viene approvato il piano di assestamento per il decennio 1976-1985 per le comprese della “cerreta” nei comprensori di Sfilzi, Caritate e Ginestra. Nel piano è previsto anche l’impianto di un bosco didattico costituito dalle querce vegetanti nella regione: cerro, rovere, farnia, farnetto, roverella, leccio, coccifera, vallonea, fragno e sughera. Lo stesso viene impiantato nel 1978 nell’area a valle della “Cascina Caritate”, antica residenza estiva della famiglia Forquet.

Dopo quest’ultimo piano, anche per le vicissitudini connesse al passaggio delle competenze in materia forestale dallo Stato alle Regioni, la foresta Umbra non è stata oggetto di nessun altro studio e/o pianificazione.

Tutti i piani, peraltro, risultano essere stati più o meno inapplicati. Il risvolto di tale circostanza non si appalesa però negativo: con il relativo abbandono delle utilizzazioni forestali, è aumentata la provvigione complessiva, si è dato spazio al “disordine” naturale, sono state favorite la selvaticità, e una maggiore complessità eco sistemica, si è senz’altro incrementato la biodiversità della Foresta.

Il trasferimento alla regione Puglia

In attuazione dei dettati costituzionali, con DPR 15 gennaio 1972, n. 11, le funzioni amministrative statali in materia di agricoltura e foreste, di caccia e di pesca nelle acque interne, dei relativi uffici e del personale ivi impiegato vengono trasferite alle regioni a statuto ordinario. Con DPR 24 luglio 1977, n. 616, “Con un laconico comma di due brevissime righe” viene soppressa l’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali – che gestisce all’epoca circa 418.000 ettari di foreste, boschi e terreni – e con essa “liquidato uno dei capitoli più gloriosi e significativo della storia e della politica forestale italiana” (3). Vengono trasferiti alle regioni, in ragione della loro localizzazione, funzioni e beni della stessa fatta eccezione per taluni terreni funzionali alla difesa del Paese o da destinare a scopi scientifici, sperimentali e didattici, e alle caserme del Corpo forestale dello Stato. Con D.M. 28.10.1974 viene stabilito il trasferimento delle foreste demaniali dallo Stato alle Regioni.

La Foresta Umbra e gli altri comprensori boscati trasferiti alla regione Puglia, tuttavia, in aderenza a quanto stabilito dall’art. 11 del DPR 616/77 vengono ancora affidati al Corpo forestale dello Stato che, attraverso la “Gestione ex A.S.F.D.” giuridicamente legittimata dalla legge 124/1985 e sulla base di appositi rapporti convenzionali, continua la previgente gestione. Tale situazione permane fino al 2000, anno nel quale il Governo regionale decide di avocare a sé la diretta gestione della Foresta. Allo Stato rimane l’amministrazione delle riserve naturali statali.

Le riserve naturali dello Stato

A cavallo degli anni 50 e 60 dello scorso secolo, in periodo di pieno ed intenso sviluppo industriale ed urbanistico, l’opinione pubblica mondiale e quindi anche quella italiana hanno avvertito con interesse e reclamato con decisione l’adozione di norme adeguate alla difesa dei beni naturali soggetti ad un pauroso quanto preoccupante depauperamento.

L’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali, che già dalla sua istituzione aveva perseguito un preciso programma di protezione e conservazione delle foreste e degli ambienti naturali (si pensi alla gestione dei primi, storici, parchi nazionali italiani – Abruzzo, Stelvio e Gran Paradiso), si faceva promotrice della istituzione di numerose riserve su tutto il territorio nazionale: lembi di natura ancora poco contaminata dalla presenza dell’uomo, di incomparabile bellezza, che era necessario preservare per il beneficio della collettività.

Fu un’attività intensa, svolta con pervicacia anche a colpi di carta bollata e vincendo, in qualche caso, forti ostruzioni da parte di privati ed enti che poco a cuore avevano le questioni connesse alla salvaguardia dell’ambiente.

Venivano così gettate le basi per quella che oggi è la rete delle aree naturali protette che, invero, ha trovato la propria ossatura proprio nelle Riserve Naturali dello Stato. Nella provincia di Foggia e prevalentemente sul Gargano, su un territorio vasto e multiforme sotto qualsiasi aspetto lo si consideri, con successivi decreti, vennero istituite undici riserve. Si tratta di un patrimonio naturalistico di straordinario spessore ecologico, distribuito sul territorio di ben 9 Comuni, che annovera ambienti dunali e pinete litoranee, foreste submontane e montane, zone umide tra le più belle e meglio conservate del nostro Paese.

Esse sono elencate nella seguente tabella, insieme ad alcuni dati relativi alla loro istituzione. all’estensione e all’ubicazione.

La faggeta di Umbra

Il faggio predomina su una superficie di circa 2.000 ettari, che interessa sia l’altopiano meridionale, caratterizzato da calcari di origine organica di scogliera, sia la parte alta del versante settentrionale, con substrato roccioso di dolomie. Nel versante meridionale la specie vegeta nelle depressioni con terreni freschi e profondi accumulatisi nel tempo a seguito dell’erosione dei relativi versanti. Unitamente al carpino bianco, all’acero opalo, al campestre, all’orniello e al tasso, costituisce un bosco misto. Sul versante settentrionale il faggio vegeta invece allo stato pressoché puro accompagnato da un ricco corteggio floristico caratterizzato da elementi pontici (Latyrus venetus), sub-mediterranei (Cyclamen neapolitanum), medio-europei (Viola silvestris, Mercurialis perennis, Euphorbia amygdaloides), euroasiatici (Rubus fruticosus, Neottia nidus-avis), eurosiberiani circumpolari (Festuca silvatica, Pteris aquilina) e atlantici (Ruscus aculeatus, Hedera helix, Ilex aquifolium).

Tutte le faggete si presentano con una struttura coetanea a gruppi, con esemplari di oltre 40 metri di altezza e un metro di diametro. Queste sono eccezionali per le basse quote alle quali vegetano, specialmente nel versante settentrionale: dagli 800 metri di Umbra, scendono a 400 nelle valli più profonde e fresche incuneandosi nei querceti sottostanti.

I fattori che determinano l’alta produttività e l’assetto floristico sul Gargano sono vari: il lungo periodo di vegetazione dovuto al clima mite, le modeste escursioni termiche, l’elevata umidità atmosferica, le precipitazioni relativamente abbondanti e la non trascurabile presenza di uno strato di argilla che trattiene l’acqua, indispensabile nei critici periodi primaverili ed estivi. Non è raro poi riscontrare, associati al faggio, anche il tiglio, l’olmo, il frassino, l’alloro e il carpino nero.

La fauna

La fauna del Gargano offre aspetti di notevole interesse per quanto riguarda soprattutto l’area della Foresta Umbra.

Tra i mammiferi, in primo luogo, bisogna annoverare il capriolo che, nell’area, è sicuramente di origine autoctona e senz’altro ascrivibile, alla luce delle recenti indagini genetiche, ad una sottospecie del capriolo europeo, l’italica (Capreolus capreolus italica). Il capriolo garganico mostra caratteristiche peculiari rispetto a quello comunemente diffuso in Europa; morfologicamente si presenta infatti più piccolo e si manifesta meno esigente, più rustico. La sottospecie è presente in Italia con soli 4 nuclei disgiunti dislocati nella Maremma grossetana, nella tenuta presidenziale di Castelporziano, sui monti dell’Orsomarso e, appunto sul Promontorio del Gargano. Il cervide è attualmente fatto oggetto di studi morfologici, etologici e genetici e della massima tutela per non disperdere ovvero inquinare il particolare genotipo. Oltre al capriolo italico, un’altra emergenza è rappresentata dal gatto selvatico (Felis silvestris), specie protetta, numericamente in netta diminuzione ovunque e minacciata geneticamente anche dagli incroci con il gatto domestico. In Foresta, poi, non è raro incontrare il tasso (Meles meles), il ghiro (Glis glis), la faina (Martes foina), il riccio (Erinaceus europaeus), la volpe (Vulpes vulpes) ed altri mammiferi di piccola taglia. Una recente indagine svolta nei confronti anche dei micro mammiferi (4) ha evidenziato la presenza certa anche della donnola (Mustela nivalis), dell’arvicola rossastra o dei boschi, del mustiolo, di diverse specie di topi selvatici (Apodemus sp.), del moscardino, di molte arvicole (Microtus sp.), del toporagno comune e del ratto nero.

Da qualche decennio si è affermata, al punto da diventare invadente, la presenza del cinghiale, introdottosi accidentalmente dalla vicina ex riserva di caccia di Pugnochiuso.

Negli ultimi anni viene infine segnalata la presenza del lupo, scomparso dal Gargano intorno al 1950 per l’intensa caccia perpetrata a suo danno. Come sempre accade in simili circostanze, non si sottace che al piacere della ricomparsa si abbinano ineluttabilmente le problematiche connesse ai danni arrecati dal canide agli animali da allevamento e al suo impatto sulla fauna selvatica, con particolare riguardo proprio al capriolo garganico.

Ai margini della Foresta, nelle aree ecotonali, è possibile anche l’avvistamento della lepre italica (Lepus corsicanus), specie protetta e oggi nettamente distinta, a livello di specie, dalla comune lepre europea (Lepus europaeus) con la quale peraltro facilmente viene confusa; circostanza questa fortemente limitante gli sforzi finalizzati alla sua tutela dal momento che la seconda è invece cacciabile.

Per quanto riguarda l’avifauna che, sia in forma stanziale che di passaggio, frequenta con numerosissime specie la Foresta, è importante segnalare la presenza del gufo reale che mostra qui, una caratteristica insolita in Italia: si è potuto notare che nidifica, infatti, nei vecchi tronchi cavi e non, come generalmente avviene, negli anfratti rocciosi o sul terreno. Questa particolarità è forse dovuta alla frequenza, in Foresta, di alberi di grandi dimensioni e di età molto avanzata che evidentemente possono fornire un adatto rifugio a questo strigide.

Altra evidenza è quella dei picchi (verde, rosso maggiore, rosso minore) e, in particolare, del picchio dalmatino, che per la prima volta in Italia è stato segnalato proprio in Foresta Umbra. Recentemente nella riserva di Sfilzi è stato segnalato anche il rarissimo picchio rosso mezzano, anch’esso infeudato alle foreste mature (5). Altre presenze importanti sono: la poiana, il gufo comune, il barbagianni, alcune specie di falchi, la gazza, il cuculo, la beccaccia e varie specie di turdidi, fringillidi, silvidi e paridi. Sia pure sporadicamente è pure possibile osservare il biancone (Circaetus gallicus), una volta più comune.

Rilevante è anche l’erpetofauna, notoriamente significativa di un buon equilibrio eco sistemico. Nell’ambito dei Rettili si possono citare: la vipera, il colubro di Esculapio, il cervone, l’orbettino, il ramarro, il tritone italico (nella fontana di Sfilzi) e le tartarughe di terra e palustre. Purtroppo, in tempi recenti, verosimilmente a causa di volontari abbandoni, si è diffusa, nel laghetto d’Umbra in particolare, la tartaruga palustre americana, specie aliena che tende a scacciare quelle indigene.

Mancano, purtroppo, recenti organiche indagini sugli Insetti: le ultime approfondite ricerche, svolte dall’Istituto di Entomologia dell’Università di Bologna, datano al 1956 e al 1957 (6), ma già dimostravano la variegata straordinaria presenza, in Foresta, di un elevatissimo numero di specie di questi Artropodi. Nel 2010, peraltro, durante una pur estemporanea campagna di raccolta attuata con il Centro Nazionale per lo Studio e la Conservazione della Biodiversità Forestale di Verona, è stata evidenziata, tra l’altro, l’abbondanza di Ditteri Sirfidi, considerati bioindicatori di un buono stato di conservazione degli ambienti naturali.

Le faggete vetuste, patrimonio dell’Umanità

Due delle riserve sopra elencate, Umbra e Falascone, per la quasi totalità della loro superficie, il 7 luglio del 2017, dopo un iter procedurale durato due anni, sono state dichiarate patrimonio dell’umanità in quanto faggete vetuste con caratteristiche uniche di naturalità e di conservazione.

La riserva naturale orientata “Falascone, su proposta dell’Ufficio Amministrazione di Umbra, con delibera del Consiglio di Amministrazione dell’ASFD del 25/06/1979 e determinazione direzionale del 5 agosto 1970, è stata istituita con decreto del 26 luglio 1971. Essa è ubicata nel territorio del comune di Monte Sant’Angelo e si estende per 48 ettari, nell’ambito dell’originario nucleo Umbra-Jacotenente. Il nome le deriva dalla evidente abbondante presenza nell’area della ciperacea Cladium mariscus, appunto il falasco o falascone. L’orografia è alquanto accidentata e caratterizzata da una successione di piccole doline che si alternano ad una serie di modesti rilievi a roccia affiorante, costituita da calcari organogeni compatti a coralli ed alghe provenienti da sedimentazione in acque basse avvenute nel giurassico superiore. Il clima in generale è quello del versante meridionale della Foresta Umbra che determina l’affermazione del faggio nelle doline con terra bruna forestale e delle cenosi più termofile e xerotolleranti, costituite da acero opalo e campestre, carpino nero, orniello e leccio, sui versanti dei rilievi.

In questa riserva vegetano i più maestosi e vecchi esemplari di tasso presenti in Foresta, con oltre un millennio di età. Tale presenza, ad onor del vero, ci deriva non già da una cosciente opera di conservazione, ma piuttosto dalla durezza del legno di questa specie che induceva nel passato le ditte boschive, assegnatarie dei lotti al taglio, a preferire l’onere delle “penali” pur di risparmiare tempo e manodopera nel duro lavoro di abbattimento, effettuato allora con seghe e asce.

Nella riserva, in armonia con lo spirito che ha animato la sua costituzione, erano consentiti interventi selvicolturali differenziati tesi, con opportuni rilievi ed osservazioni, allo studio delle “risposte” fornite dalla vegetazione.

Di fatto, i limitatissimi prelievi ed interventi eseguiti nell’area, complice la presenza di una efficace chiudenda in griglione metallico alta 2 metri, che evita l’ingresso delle persone e degli animali d’allevamento, l’hanno trasformata nel tempo in una vera e propria riserva integrale dove i processi evolutivi naturali hanno potuto avere luogo pressoché indisturbati.

La riserva naturale biogenetica “Foresta Umbra”, con la quale quella di Falascone confina, è stata istituita con decreto ministeriale del 13 luglio 1977 e ricade anch’essa nel territorio del comune di Monte Sant’Angelo occupando una superficie di 399 ettari. Con successivo decreto del 23 dicembre 1978, su parte della sua estensione, circa 173 ettari, è stato istituito il bosco sperimentale didattico. L’origine di questo bosco risale alla piantumazione, operata a partire dal 1892 e a scopo sperimentale, di essenze appartenenti a 60 specie tra conifere, latifoglie e arbusti. Di queste, non tutte indigene, alcune si sono ben acclimatate, quali il pino nero e il pino laricio, mentre altre, quali l’abete bianco, l’abete rosso, il pino silvestre ed il larice, soffrono per le avverse condizioni climatiche. Per questo è possibile ancora oggi ammirare in Foresta, quantunque insolitamente, il magico indorarsi autunnale degli aghi del larice, unica conifera indigena a foglie caduche o i colonnari altissimi fusti dei pini o il maestoso fiero portamento dei cedri. Anche quest’area presenta un’orografia alquanto irregolare: nell’ambito di un generale andamento altimetrico decrescente verso il confine sud, ad una serie di piccoli rilievi a roccia affiorante, si susseguono altrettante piccole depressioni. Il terreno è costituito da terra bruna forestale molto evoluta. Il clima, in generale, è quello tipico delle aree montane. Il soprassuolo è costituito da una fustaia naturale di faggio, pura, coetanea a gruppi e stratificata. Stratificazione che permette un ottimo sviluppo sia del piano arbustivo che di quello erbaceo, entrambi eccezionalmente ricchi di specie. La presenza di fessure e nicchie, nel substrato roccioso costantemente umido e ombreggiato, concorre anche allo sviluppo di una ricca vegetazione pteridofitica e briofitica.

Notevole è la presenza di faggi e tassi eccezionali per aspetto e vetustà.

Nella riserva ricade il Villaggio Umbra, sede dell’Amministrazione Forestale, e il vivaio Giacomelli, di cui sopra si è fatto cenno, ove venivano coltivate piantine autoctone necessarie per le operazioni di rinfoltimento o rimboschimento. Una porzione di tale vivaio è stata recentemente riattivata per consentire l’allevamento di alcune specie nobili autoctone (melastro, perastro, ciliegio), una volta maggiormente diffuse, utilizzate oculatamente per incrementare la biodiversità nell’ambito delle aree protette.

La riserva, attraversata da due rotabili provinciali, è attrezzata di numerose aree di sosta e pic-nic ed è meta, nel periodo estivo, di un considerevole flusso turistico.

La vegetazione presente nelle due aree protette costituisce un rarissimo esempio, in Europa, di faggeta mista, in cui fino ad un quarto della biomassa viva appartiene ad altre specie arboree, in particolare Taxus baccata e Acer campestre, che qui, peraltro, raggiungono dimensioni eccezionali (Di Filippo et al., 2016). Il prestigioso riconoscimento dell’UNESCO rappresenta dunque un giusto plauso alla continua e silenziosa opera svolta dagli uomini e dalle donne che, succedutisi nella gestione della Foresta, hanno saputo salvaguardare e tutelare a beneficio del Paese, questi straordinari ambienti naturali.

Le superfici delle riserve di Umbra e Falascone, sulla tavoletta IGM al 25.000, riconosciute quali faggete vetuste dall’UNESCO

L’attività del Reparto Carabinieri a tutela delle aree protette

Il Reparto di Foresta Umbra, è oggi l’erede di uno dei più antichi presidi dell’Amministrazione forestale statale in Puglia (trae origine dalla Brigata di Umbra istituita nel 1892).È ubicato in piena foresta, quasi al centro del Promontorio Garganico, nel territorio comunale di Monte Sant’Angelo, a circa 800 metri di altezza s.l.m. e dista dal centro abitato più vicino, Vico del Gargano, circa 13 km.

La palazzina dell’Ufficio, gli alloggi del personale, i magazzini, gli opifici, costituiscono il Villaggio forestale di Umbra, importante presidio dello Stato in un’area interna che, per buona parte dell’anno, è soggetta al solo modesto traffico di passaggio ed è frequentata esclusivamente da legnaioli, pastori, cacciatori e raccoglitori di funghi.

Al Reparto, incardinato nell’Arma dei Carabinieri, nel “Comando Unità per la Tutela Forestale, Ambientale e Agroalimentare”, in forza della legge n. 394/1991 sulle aree protette e del D. lgs. 177/2016, rimane affidata l’amministrazione, la tutela e la salvaguardia delle riserve naturali statali riconosciute di importanza nazionale o internazionale dislocate nella provincia di Foggia e in quella di Barletta-Andria-Trani delle quali si è detto.

L’azione di salvaguardia e di tutela delle riserve si estrinseca non solo nella quotidiana sorveglianza, ma altresì attraverso mirati interventi selvicolturali, con una intensa attività di educazione ambientale e con l’attiva partecipazione ad indagini, studi e ricerche svolti in materia ambientale.

Come funzionale e strettamente legata a questa, viene assicurata la manutenzione degli immobili del Villaggio (14 fabbricati dislocati su una superficie di circa 2 ettari) e delle infrastrutture a servizio delle riserve (11.000 metri di griglione metallico, 28.000 metri di chiudende forestali, 5.000 metri di staccionate in legno, circa 15 chilometri di sentieri pedonali e strade forestali, 12 sbarre e 26 cancelli, 3 cutini, innumerevoli tabelle monitorie, indicatrici e didattiche, 20 aree attrezzate per la sosta, 2 posti di osservazione dell’avifauna, ecc.). La cura dei soprassuoli (nelle riserve forestali si stima la presenza di un milione di alberi), mira sostanzialmente alla conservazione e all’incremento della biodiversità e richiede un costante, continuo e capillare impegno. Gli interventi selvicolturali sono ormai orientati ai canoni della selvicoltura sistemica, con un approccio cioè prudente e totalmente rispettoso delle complesse interrelazioni (da presumersi finanche non completamente note) che governano il perpetuarsi e l’evolversi degli ecosistemi naturali. Quelli sulle infrastrutture tendono sempre all’uso di materiali naturali e di tecniche a ridotto impatto ambientale.

La quotidiana attività di polizia preventiva e repressiva, volta alla vigilanza sul rispetto dei vincoli e dei divieti che la Legge impone su tali aree protette, viene svolta dal personale militare forestale in forza nei tre reparti dipendenti, i Nuclei Carabinieri per la Tutela della Biodiversità di Margherita di Savoia, Lesina e Umbra. I problemi principali sono legati al pascolo incontrollato, al bracconaggio e alla pesca abusiva, all’abbandono dei rifiuti, al taglio illecito e ai furti di legname, alla raccolta, vietata, di funghi e frutti del bosco, all’inquinamento delle acque e, a volte, all’eccessiva pressione turistica sulle aree protette.

La struttura è altresì impegnata in attività di divulgazione ed educazione ambientale, che viene espletata con personale appositamente qualificato attraverso le visite guidate nelle Riserve Naturali, organizzate soprattutto per gli studenti, ma anche per gli enti e le associazioni che ne fanno richiesta. Vengono inoltre svolti seminari e lezioni tematiche presso le scuole di ogni ordine e grado.

Nel tempo il Reparto ha realizzato numerose strutture dedicate alla conoscenza e all’apprezzamento degli ambienti naturali: il Centro visitatori, il nuovo parco ludico-educativo per i bambini (il Giocabosco), la ricostruzione di un’antica area carbonile, i sentieri pedonali, le aree di sosta e i posti di osservazione dell’avifauna presenti in alcune riserve, ne sono l’esempio.

Si stima in circa 300.000 il numero delle persone che usufruiscono dell’area protetta di Umbra nel periodo estivo.

Il Reparto è attivamente impegnato nel progetto europeo di monitoraggio e ricerca denominato CON.ECO.FOR. (Controllo Ecosistemi Forestali), avviato nel 1995 e volto a tenere costantemente sotto controllo gli effetti dell’inquinamento dell’aria sulle foreste europee attraverso il monitoraggio continuo di una rete di stazioni, appositamente costruita a livello internazionale. Una di queste stazioni, appunto, è localizzata nell’ambito della riserva di Umbra.

Recentemente, inoltre, è stata impostata da parte dell’Università della Tuscia una campagna di rilievi atta ad evidenziare le risposte dei soprassuoli ai cambiamenti climatici. Campagna alla quale la struttura partecipa attivamente dal momento che un’area di indagine è stata impiantata nella Riserva di Falascone.

Con cadenza quindicinale e durante tutto il corso dell’anno, personale militare qualificato effettua il censimento dell’avifauna presente nella Salina di Margherita di Savoia (zona umida di importanza internazionale ai sensi della convenzione di Ramsar) e nella sacca orientale del lago di Lesina, entrambe Riserve Naturali Statali di popolamento animale. La mole dei dati raccolti costituisce ormai un valido punto di riferimento per lo studio, a livello locale, del fenomeno della migrazione e delle sue variazioni nel tempo.

Il Reparto presta pure attiva partecipazione anche nelle iniziative volte alla conservazione del capriolo e alle indagini sulla segnalata presenza del lupo, promosse e curate dal Parco nazionale del Gargano.

Si tratta dunque di un’attività alquanto variegata e complessa che richiede un considerevole spirito di sacrificio anche in considerazione dei luoghi ove viene svolta e che non può assolutamente prescindere dal possesso di elevate qualità e specializzazioni professionali e da un alto senso del servizio, da rendersi per il bene comune e nell’interesse del Paese.

Capi dell’Ufficio di Foresta Umbra

1. Francesco Falanga dal 13 ottobre 1906 al 1914 (primavera)

2. Francesco Cosentino dal 1914 (primavera) al 12 maggio 1927

3. Leonello Del Guerra dal 13 maggio 1927 al 24 marzo 1931

4. Enrico Sprynar dal 25 marzo 1931 al 16 agosto 1939

5. Giovanni Videsott dal 17 agosto 1939 al 9 marzo 1941

6. Giuseppe Cerro (ad interim) dal 10 marzo 1941 al 6 giugno 1941

7. Giovanni Videsott dal 7 giugno 1941 al 9 aprile 1942

8. Ovidio Ciafardini dal 10 aprile 1942 al 22 giugno 1943

9. Carlo Cucchi dal 23 giugno 1943 al 15 ottobre 1946

10. Alceo Greco dal 16 ottobre 1946 al 30 aprile 1949

11. Giacomo Servedio dal 1 maggio 1949 al 15 gennaio 1964

12. Vittorio Gualdi dal 16 gennaio 1964 al 28 febbraio 1973

13. Pietro Lauriola dal 1 marzo 1973 al 25 gennaio 2000

14. Nazario Palmieri dal 26 gennaio 2000 al 4 giugno 2002

15. Claudio Angeloro dal 5 giugno 2002 all’attualità

Denominazione Ufficiale dell’Ufficio

1906 Corpo Reale delle Foreste – Ripartimento di Foggia – Distretto di Monte Sant’Angelo

1914 Corpo Reale delle Foreste – Ripartimento di Foggia – Distretto di Monte Sant’Angelo –Ufficio amministrazione delle foreste inalienabili di Umbra Iacotenente e Montebarone

1922 Corpo Reale delle Foreste – Ripartimento di Foggia – Ufficio speciale di Umbra Iacotenente di Vico Garganico

1926 Milizia Nazionale Forestale – Azienda speciale del demanio forestale di Stato – Ufficio amministrazione di Foresta Umbra

1927 Milizia Nazionale Forestale – Azienda Foreste Demaniali (AFD) – Ufficio Foreste del Gargano

1931 Milizia nazionale Forestale – Azienda Foreste Demaniali (AFD) – Ufficio di Umbra

1933 Milizia nazionale Forestale – Azienda di Stato per le foreste demaniali (ASFD) – Ufficio di Umbra

1943 Reale Corpo delle Foreste – Azienda di Stato per le Foreste Demaniali (ASFD) – Ufficio di Foresta Umbra

1947 Corpo delle Foreste – Azienda di Stato per le Foreste Demaniali (ASFD) – Ufficio di Foresta Umbra

1948 Corpo Forestale dello Stato – Azienda di Stato per le Foreste Demaniali (ASFD) – Ufficio Amministrazione di Foresta Umbra

1978 Corpo Forestale dello Stato – Ufficio Amministrazione gestione ex ASFD di Foresta Umbra

2005 Corpo forestale dello Stato – Ufficio territoriale per la biodiversità di Foresta Umbra

2017 Arma dei carabinieri – Reparto carabinieri biodiversità di Foresta Umbr

Bibliografia

• Angeloro Claudio, Lauriola Pietro, 2000. “La ferrovia Decauville in Foresta Umbra”, Quaderni del Parco, n. 1, P.N. del Gargano, stampa: Falcone Grafiche – Manfredonia.

• Azienda di Stato per le Foreste Demaniali – Foresta demaniale Umbra – Piano di assestamento per il decennio 1971-1980, Atti Ufficio.

• Azienda di Stato per le Foreste Demaniali, 1959. “L’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali”. Edizioni A.B.E.T.E. – Roma.

• Corriero Giuseppe, Gaudiano Lorenzo, Sorino Rocco, 2013. “La fauna selvatica della Foresta Umbra”, Quaderni del Parco, P.N. del Gargano, Ed. Carpe Diem s.r.l. – Manfredonia.

• Della Malva Marco, 2000. “Vieste e le città della Daunia dai Normanni al regno Aragonese (1072-1502), Grafiche Iaconeta – Vieste (FG).

• Di Bérenger Adolfo, 1859. “Studii di Archeologia Forestale”, Ristampa in foto-lito a cura dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali e della Direzione Generale dell’Economia Montana e delle Foreste, Coppini – Firenze, 1965.

• Manicone P.F. Michelangelo, 1806. “La Fisica Appula”, tomo 1°, ristampa anastatica, Paolo Melagrinò Editore, Bari – 2000.

• Ministero dell’Economia Nazionale – Direzione generale delle foreste e demani, 1927. “Relazione sulla Azienda del Demanio Forestale di Stato, 1° luglio 1910 – 30 giugno 1924” (Relazione “Stella”), Industrie grafiche Grafia – Roma.

• Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio – Direzione generale delle foreste, 1915. “Relazione sulla Azienda del Demanio Forestale di Stato, 1° luglio 1914 – 30 luglio 1914” (Relazione “Sansone”), Stab.to Capaccini – Roma.

• Quaderno storico, Atti Ufficio (Manoscritto).

• Russo Saverio, 1990. “Grano pascolo e bosco in Capitanata tra Sette e Ottocento”, Edipuglia – Bari.

• Tranasi Michele, 2013.. “Monte Sant’Angelo negli ultimi due secoli”, Bastogi Libri – Roma.

• Zilletti Claudia, 1999. “Itinerari garganici di viaggiatori inglesi e americani”, Gioiosa Editrice – Sannicandro Garganico (FG

Note

(1) Marco Anneo Lucano. Pharsalia, libro V, v. 380.

Quinto Orazio Flacco. Epistolae, II, 1, v. 200, Carmen (Odi?), II, 9, v. 8

Tiberio Cazio Asconio Silio Italico. Punica, libro VIII.

(2) La Foresta Umbra, con Ordine del Giorno del 23 luglio 1939 venne intitolata al milite forestale Giuseppe Paolini, ucciso in servizio a tradimento in località Sfilzi da cacciatori di frodo. Tale intitolazione si ritrova in tutte le carte assesta mentali del piano.

(3) Autori vari (1992). “Il Corpo forestale dello Stato”, Graphostampa s.r.l. – Pomezia.

(4) Signorile Anna Lisa (2004). “Relazione finale sul progetto di monitoraggio di piccoli mammiferi nella riserva orientata Falascone: risultati preliminari”, dattiloscritto.

(5) Joachim Heinze (2006). Comunicazione personale.

(6) Guido Grandi (1957). “Campagna di ricerche dell’Istituto di Entomologia dell’Università di Bologna alla “Foresta Umbra” (Gargano)” – Ricapitolazione introduttiva dei risultati ottenuti.

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