di Domenico Sergio Antonacci
Il Gargano diede i natali a molti personaggi portatori delle istanze illuministe del ‘700. Tra questi Giannone, Manicone e decine di “eccitati” che diedero vita alle “accademie” di Vico del Gargano, Foggia e Lucera (dedicherò un post a questo argomento).
Oggi vi farò conoscere Celestino Galiani, un personaggio particolare che ricoprì diversi importanti incarichi e che diede avvio ad una delle riforme universitarie più apprezzate dell’epoca, un rappresentante del cosiddetto “cattolicesimo illuminato”.
Biografia liberamente tratta da
Celestino Galiani nacque il 27 ottobre 1681 a San Giovanni Rotondo (paese natio della madre) e gli fu dato il nome di Nicola, Simone ed Agostino. Il padre Domenico, foggiano, apparteneva ad una ricca famiglia, originaria di Montoro (Avellino) che si era trasferita a Foggia verso la fine del ‘500 per svolgere un ben avviato commercio di pelli e di lana e che costruì il palazzo di piazza XX settembre (detto anche Palazzo Filiasi). Nicola Galiani ricevette a Foggia i primi rudimenti di latino e di italiano da alcuni monaci della regola Benedettina, i Celestini, che avevano un loro Convento ed una Chiesa, entrambi dedicati a S. Caterina di Alessandria. Chiesa, che, in seguito, fu dedicata a San Giovanni di Dio e la cui facciata ancora oggi, risulta compresa tra i fabbricati del vecchio ospedale di via Arpi. All’età di 16 anni (1697) indossò il saio celestino e cambiò il suo nome da Nicola in Celestino. Dopo brevi periodi trascorsi al Convento della Trinità di San Severo (oggi sede municipale) si stabilì al Monastero di Santa Croce di Lecce, dove ebbe (1698) la sua ordinazione sacerdotale.
All’età di 20 anni, in considerazione della sua straordinaria capacità di apprendimento e della sua versatilità in qualsivoglia disciplina, gli fu conferita la nomina triennale di “studente” presso il Monastero dei Celestini di Sant’Eusebio in Roma. Gli anni trascorsi al Sant’Eusebio furono (i due trienni di “studentato” e quelli poi di “teologia morale”) anni di duro lavoro sui testi scientifici come “Gli elementi di geometria” di Euclide; la “Diottrica” di Cartesio; il “Trattato sulle sezioni coniche” di Isacco Barrow; la “Geometria” cartesiana; il “Traité de la grandeur en general” di Barnard Lamy per arrivare, infine, ai grossi temi di algebra e al calcolo differenziale ed integrale.
Anche questo era semplice lettore di Sant’Eusebio era considerato da colleghi e discepoli tra i più illustri studiosi italiani non soltanto in materio di Sacra Scrittura (che aveva avuto modo di approfondire direttamente dall’ebraico, in quanto aveva un raro possesso di quella lingua) ma anche e soprattutto di scienze, tanto che molti illustri personaggi ambivano intrattenere relazioni o prendere parte alle discussioni che un monaco dotato di tanta dottrina scientifica amava promuovere e dirigere.
Lungo sarebbe accennare ai giudizi che i migliori cervelli del secolo dei lumi hanno espresso su Celestino Galiani, basti citare quello che Eustachio Manfredi di Verona, poeta e scienziato, docente di Scienze all’Università di Bologna e direttore dell’Osservatorio Astronomico di quella città che così si espresse: “La disciplina meno conosciuta da Mons. Celestino Galiani erano le matematiche, ma intanto che non vedeva in Italia un matematico che gli stesse a paro”. Ma non era un puro teorico: nella Roma papale del suo tempo egli rappresentò una rarità alla sua apertura alla discussione, la sua liberalità e tolleranza verso le idee anche le più controverse, fanno di lui il rappresentante più significativo di quei “cattolici illuminati” che tanto merito avevano acquisito nella Roma e nella Napoli della prima metà del ‘700, con la creazione di cenacoli, accademia e che dettero in campo cattolico il segno di una grande disponibilità verso la scienza moderna, senza preconcetto alcuno e senza riserve di carattere dogmatico. Dunque Celestino Galiani fu uomo enciclopedico, erudito, filosofo, storico della Chiesa, ma soprattutto matematico. Egli anche al giorno d’oggi é ritenuto dagli storici delle scienze come il più grande diffusore del Newtonianesimo in Italia. Gli fu assegnata la cattedra di matematica all’Università della Sapienza di Roma (1718-1728).
L’anno successivo fu nominato Abate dei monasteri Celestini di Aversa e Sant’Angelo a Celano. Nel 1727 prese parte, come plenipotenziario di Carlo VI d’Austria, alle trattative per l’apostolica legazione di Sicilia. E nel 1728 veniva eletto Abate Generale dell’Ordine dei Celestini (fino al 1731). Nel 1731 mentre si recava a Foggia per aiutare e soccorrere i suoi concittadini scampati al tremendo terremoto del 20/03 ebbe la notizia della sua nomina ad Arcivescovo di Taranto, dove stette per meno di un anno, perché il Re di Napoli lo nominò “Cappellano Maggiore del Regno di Napoli”, carica importantissima che comprendeva il comando dell’istruzione, la carica di rettore dell’Università, Prefetto dei Regi Studi. La Cappellania la resse fino alla morte. Nello stesso anno diventò arcivescovo titolare di Tessalonica
Dal 1732 al 1736 riformò l’università napoletana portando all’istituzione della prima cattedra in Europa di “Commercio e Meccanica” (attuale Economia) con lezioni in italiano anziché in latino e che fu affidata ad Antonio Genovesi convinto assertore che i “LUMI” possono apportare interessanti contributi nel commercio e nell’agricoltura, arrivando finanche ad invocare la divisione delle terre e una più equa distribuzione della ricchezza.
Di quella cattedra saranno allievi Domenico Caracciolo, Carlo De Marco, Gaetano Filangieri, Antonio Iorcades, Giuseppe Palmieri, Mario Pagano, Nicola Valletta, Nicola Vivenzio, Giuseppe Maria Galanti, maestro a sua volta di Vincenzo Cuoco; ovvero tutti i grandi nomi della cultura Napoletana del Settecento riformatore.
Dal 1737 al 1741 fu negoziatore napoletano del concordato allora stipulato fra il Regno e la Santa Sede.
Presso di lui si recavano i migliori cervelli del tempo tra i quali Bartolomeo Intieri, Alessandro Rinuccini, Giambattista Vico, Antonio Genovesi ed anche il nipote Ferdinando Galiani, della cui istruzione ed educazione egli si era occupato. Il nipote Ferdinando il 26 luglio 1753 pronunciò l’elogio funebre per lo zio Celestino nella Chiesa dell’Ascensione a Napoli, presente il Cardinale Valenti Gonzaga, e lesse il messaggio di cordoglio del suo grande amico e protettore, Papa Benedetto XIV. Erano presenti nella piccola Chiesa dell’Ascensione uno stuolo di amici, discepoli ed estimatori, i migliori ingegni della Napoli e della Roma dell’epoca. La salma fu sepolta nella chiesetta dei Celestini.
Molti suoi scritti scientifici e politici si conservano inediti.
Per saperne di più: Celestino Galiani e l’accademia degli illuminati
e non è finita qui! Aveva un nipote……Ferdinando Galiani… un portento a quanto pare…e poi Berardo Galiani, suo fratello, che si distinse come il primo….la storia sarebbe lunga…rimando alla vostra curiosità personale (su Google trovate tantissime informazioni, assicuro!).