da culturalheritagecrime.com (via Facebook, Feliciano Stoico)
Il fenomeno degli scavi abusivi sistematici e del relativo commercio clandestino di oggetti d’antichità ha assunto dimensioni finora ancora poco conosciute; infatti nel corso degli ultimi decenni, in questo modo, sono andate perdute testimonianze storiche di valore inestimabile.
Il territorio dell’antico centro dauno di Arpi (pochi km a N-E di Foggia) per esempio, è tra quelli più indagati dagli scavatori abusivi. La ricerca archeologica ad Arpi ha una sua storia e una sua traiettoria, notevolmente condizionata dalla fitta mappa della ricerca clandestina, portatrice di un’archeologia dell’emergenza, segnata dall’agenda di intere stagioni di illegalità. È noto purtroppo quanto la ricerca istituzionale costituisca ben poca cosa rispetto alla sistematicità degli scavi clandestini e quanto sia imponente l’impatto catastrofico delle attività illegali di ricerca e della dispersione del patrimonio archeologico.
L’individuazione di tombe di questo tipo hanno destato, tra gli anni ’70 e gli anni ’80 del secolo scorso, l’attenzione di vere e proprie organizzazioni di scavatori clandestini che hanno distrutto ettari di patrimonio archeologico nascosto e delle relative informazioni ad esso connesse.
Nell’ottica della ricerca e del monitoraggio dei siti di interesse archeologico dell’area di Arpi (998 ettari) che circa tre anni fa mi sono imbattuto, in pieno giorno, in due scavatori clandestini all’opera.
Dopo aver ricevuto alcune segnalazioni in merito a sepolture depredate da scavatori clandestini, congiuntamente alla dott.ssa Patrizia Gentile dell’Università del Salento, mi recai nel territorio Dauno per accertarmi dell’accaduto e per monitorare le attività illecite di persona. Grazie all’ausilio delle coordinate gps riuscimmo ad individuare le aree interessate dal fenomeno e, con non poca meraviglia, ci ritrovammo nel giro di pochi minuti protagonisti di un lungo inseguimento tra Carabinieri e tombaroli.