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Come si cancella un paesaggio rurale senza capirne il valore, l’esempio di Carpino

Qualche giorno fa entrando nel mio paese, Carpino, ho avuto un colpo al cuore. Sono spariti i fichi d’india!
Sarà che ho uno spirito romantico o che l’età va avanti, sarà che sono un nostalgico dei segni del passato, delle “cose vecchie”, ma tant’è.
Insomma, una delle immagini che da sempre ha caratterizzato l’ingresso di Carpino è scomparsa, annientata, kaput!

Quella fila infinita di fichi d’india accoglieva e salutava i visitatori, lasciandoli sorpresi per la vista particolare e quel cartello “Carpino” che vi spuntava in mezzo.Pensate che la vista dei fichi d’india era spesso citata negli incipit degli articoli di giornale, o copertina di foto e video-reportage realizzati da coloro che approdavano, casualmente e non, a Carpino.

Ma è necessario andare più a fondo.
E’ stato distrutto un elemento identitario del paesaggio e della cultura agro-pastorale di Carpino, un elemento testimone dei tempi in cui attorno ai campi si piantavano piante da frutto per il sostentamento.
Probabilmente un’identità di cui si ha vergogna, che si vuole nascondere perché ora arriva la modernità: proprio accanto è stato realizzato un eliporto e sta per essere ultimato il terminal autobus (in campagna e lontano dal paese, sarà necessaria una navetta).Che poi, a voler essere complottisti e paranoici, sembra una precisa strategia di annientamento dell’identità carpinese: scompare il festival, “qualcuno” si porta via i cantori anziani, le vie del centro storico vengono piastrellate di orribili pietre (le chiamano scorze), ci mancavano i fichi d’india.

Scherzi a parte, mi si dirà che era necessario realizzare il marciapiedi per collegare la zona al paese, che questo è il progresso, che bisognava aumentare la sicurezza della strada, che Carpino, finalmente e dopo tanti anni di abbandono, ha visto il realizzarsi di tante opere necessarie etc. etc.

Ma io sono romantico, che ci volete fare…e pensare che nemmeno mi piacciono i fichi d’india!

Intanto conto sulle dita di una mano quelli della classe ’88 rimasti in paese.

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