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Il ballo di Sant’Anna – Carpino Folk Festival | 2010

Direzione progetto il Ballo di Sant’Anna a Lesina – Primiano D’Addetta

Anche quest’anno arriveranno centinaia di artisti attentamente selezionati per presentare al pubblico un programma di qualità ricco di serate speciali, eventi e momenti emozionanti.
La quindicesima edizione del Carpino Folk Festival verrà vissuta intensamente per dieci giornate.
Molte le novità per soddisfare ogni giorno gli interessi di un pubblico il più ambio possibile, ma senza forzare l’orizzonte culturale della manifestazione.
Una di queste novità è l’allargamanto del coinvolgimento al pubblico e agli appassionati, alla comunità del Gargano che vive un rapporto più stretto e quotidiano con la tradizione e in particolare i giovani del nostro territorio.
Per questa ragione la quindicesima edizione si allarga al territorio con due serate di anteprima svolte a Lesina e San Marco in Lamis.
A Lesina la serata è volta a ricordare un tragico evento storico che colpi il meridione d’Italia nel XVII secolo.
http://www.carpinofolkfestival.com/

Lunedì 26 luglio, Lesina – Centro Storico
“Il ballo di Sant’Anna”
Ore 19,00 Santa messa in onore di Sant’Anna protettrice delle partorienti
Ore 20,00 Processione e benedizione dei falò di Sant’Anna
Ore 21,00 Chiesa della S.S. Annunziata esibizione de”Le voci dell’Arciconfraternita del S.S. Sacramento di Vico del Gargano”
Ore 21,30 Partenza da P.zza Fontana Parata degli artisti di strada della compagnia de “la tribù dei sempre allegri” con: trampolieri, equilibristi, giocolieri e clown, fachirismo ed arte del fuoco
Ore 21,45 Centro storico “se77e fuochi per se77e spettacoli” con:
· Nanà – maquillage artistico
· Mr. Thomas – fachiro mangiafuoco
· Trampuglia – trampoliere acrobatico
· The Jack “lemon” Gambino show – seguipersone
· Ratataplan teatro Pass Pass – collezionista di attimi
Ore 22,00 Piazza Annunziata “storia di un uomo e della sua ombra – Mannaggia ‘a mort” spettacolo di teatro per ragazzi
Ore 22,30 Piazza Annunziata “Kukulà” il circo più piccolo del Mondo
Ore 23,00 Piazza Annunziata Concerto “Il Ballo di Sant’Anna”
· Alexina (Lesina)
· I Cantori di Carpino (Carpino)
· Progetto Cala la Sera (San Giovanni Rotondo)
· Tarantula Garganica (Monte Sant’Angelo)

Il 26 luglio, giorno di Sant’Anna protettrice delle partorienti, rievoca, a Lesina, un evento storico a cui viene associato il rituale dell’accensione dei fuochi nei diversi quartieri del paese. La storia dice che nei giorni precedenti e successivi al 26 luglio dell’anno 1627, si verificò un sciame sismico di eccezionale gravità del quale Lesina fu l’epicentro. Le conseguenze del sisma furono disastrose sia per gli uomini che per le cose. La memoria popolare racconto che il Lago di Lesina, a seguito di quella violenta scossa, ritrasse le sue acque per poi investire, nel riflusso, l’intera cittadina: uno tsunami insomma, che seminò morte e distruzione. La leggenda vuole che gli scampati, per ringraziare la provvidenza di averli graziati, accesero dei fuochi in onore di Sant’Anna.
Quei fuochi che tutt’ora si accendono, puntualmente nel giorno di Sant’Anna, nei vari quartieri del paese rappresentano, quindi, allo stesso tempo sia il segno del ringraziamento alla Santa per essere stati risparmiati sia degli enormi ceri accesi in memoria delle tante vittime che quell’evento produsse.

Di seguito la cronaca di quei giorni di Antonio Lucchino
«Per quattro giorni avanti del terremoto si vidde una quiete d’aria grandissima, che non spiravano venti, nemmeno una minima aura, ed i caldi erano eccessivi, e quasi insopportabili. Il sole tanto al nascere, quanto al tramontare, si vedea carico di vapori grossi, in maniera, che facilmente senza offensione vi si poteva fissare gli occhi; e il giorno del terremoto fu assai maggiore il caldo, la quiete e l’adombramento de’ vapori attorno al sole.
Cominciarono ad udirsi, ma leggermente, i terremoti sin dall’anno precedente 1626, in ottobre, novembre e dicembre; in gennaio del 27, in febbraio, in marzo ed aprile: non s’udirono poi il maggio, e il giugno, sino a’ trenta di luglio. E più di venti giorni prima fu una grandissima pioggia nella Puglia, e maggiore nelle nostre parti, che, ancorché fusse di mezza està, si vedevano le campagne piene di acque, che da lungi parevano laghi, e paludi, a cui poi seguirono caldi eccessivi.
A’ ventisette di luglio, tre giorni precedenti, fu l’ecclissi della luna, che si oscurò tutta l’orbita, e dal principio dell’oscurazione sino alla fine vi passarono sei ore.
Si guastarono le acque de’ pozzi e, con maraviglia e stupore di chi le gustava, davano odore sulfureo, e grave. E il giovedì, giorno precedente, si udirono molti lampi a guisa di tuoni occupati sotto alla terra.
Vi fu un altro segno veduto un quarto d’ ora avanti da Monsignor Illustrissimo Venturi, Vescovo della città; il quale da una finestra del palagio dove abitava, che riguardava il Monte Sant’Angelo, vidde una piccola nube, la quale velocissimamente se ne andava verso il detto monte; del che si maravigliò non poco, considerando come quella nube era spinta in tal maniera senza che spirasse vento o aura alcuna.
A’ trenta di luglio dell’anno 1627, il venerdì, che, come si disse, con maggior forza che ne’ giorni precedenti il sole faceva sentire il suo calore, (…) giunta l’ora fatale, sedici del giorno, si udì muggir la terra non a guisa d’un toro, ma di grandissimo tuono, che non si saprebbe dare altra comparazione, poichè offuscava la mente e l’udito ; ed appresso subito sì vidde ondeggiare la terra a guisa che sogliono l’onde nel maggior agitamento del mare, in maniera che io ed i miei compagni fummo battuti da quell’impeto di faccia a terra, e, senza mancar niente il muggito, nell’alzarci si sollevò ondeggiando di nuovo la terra, e di nuovo caddimo; ma assai più la terza volta, che ondeggiò con maggiore rabbia che a me parse cadere da sopra un colle. Diede poi una scossa si grande e terribile verso ostro, che rovinò in un subito tutta la Città; e noi avanti a’ nostri occhi viddimo, e udimmo, la ruina della Chiesa delle Grazie. Seguitò poi lentamente il tremore, ed alzati, che fummo, si vidde ingombrata, e coverta di una densissima caligine di polvere la Città; e così si vidde sopra Torremaggiore, S. Paolo, Serra Capriola, Apricena e Lesina; con che quelle terre diedero segno ancora di loro ruina.
Tutti, restati sbigottiti e pieni di timore, andammo con sollecito piede verso la Città per soccorrere i nostri parenti e cittadini, se si poteva; e durò tanto il tremore che giunsimo nella città, lontana da quel luogo quasi uno stadio, ed allora quel venticello fresco rinforzò, e quella polvere s’alzò in aria, la quale riverberando i raggi del sole, pareva di lontano, che fusse involta di fiamma di fuoco, e si potevano chiaramente vedere le ruine della misera città abbattuta e fracassata; e in un subito si rappresentò a’ languidi occhi caso di molta pietà e compassione; poichè oltre le alte e lamentevoli grida, che s’udivano per tutto dei salvi, che piangevano la comune e privata disgrazia, si vedevano uscir fuori della città le meste genti impolverate in maniera che non vi si poteva in modo alcuno scorgere effigie umana, e sembrava ognuno un ammasso di polvere; il che si aggiungeva maggior pietà e compassione vedendosi scaturire dalle ferite di quei miseri fonti anzi rivi di sangue, che scorrendo di sopra quella polvere, parevano tanti ruscelli, che corressero per arenose campagne. Si vedevano altri portar fuori corpi morti, altri semivivi, ed altri storpiati, che non potevano camminare; e li buttavano per la campagna con tanti lamenti e pianti, che occupavano le menti, e poteva dirsi aver cuor d’aspro macigno chi non accompagnava loro con lamenti e pianti.
Quei che non avevano patito cosa alcuna si davano attorno agli orti a far capanne con sprovieri di tela e lenzuoli, che si potevano con tanta necessità ritrovare. Noi intanto entrammo nella città, dove s’udivano maggiori i pianti e le strida, piangendo chi il padre, chi la madre, altri i figli, i fratelli e le sorelle, chi gli amici ; e in tanta confusione di cose quel che dava più terrore era che la miseria dell’uno affliggeva maggiormente l’altro in maniera che vano sembrava ogni soccorso ed ajuto».

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