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Il Pacichelli e la sua descrizione dei paesi di Capitanata di fine ‘600

Giovan Battista Pacichelli nacque a Roma nel 1634; è famoso per aver scritto Il Regno di Napoli in Prospettiva (pubblicato postumo nel 1702), un’opera, commissionatagli dal duca di Parma Ranuccio II, per la cui stesura viaggiò quindici anni nel Regno di Napoli alla ricerca di storie e costumi di paesi e città.
Nella parte dedicata alla Capitanata, nel volume 3, il Pacichelli descrive le condizioni insalubri della zona e le sue difficoltà climatiche, caratterizzandola soprattutto come dedita alla pastorizia.
È da precisare che la Capitanata, duodecima e ultima provincia del regno, non ha oggi gli stessi confini che aveva sotto i Borboni, tre secoli addietro. Infatti, mentre ha mantenuto i suoi confini naturali a sud con la Terra di Bari seguendo il corso dell’Ofanto, ad ovest con la Basilicata, il Principato Ultra e il contado del Molise attraverso la catena appenninica, a settentrione invece i confini erano più a nord, comprendendo anche il territorio afferente alle diocesi di Larino e di Termoli.

In merito alle produzioni, agli abitanti ed alle consuetudini di questa provincia Pacichelli così scriveva: “È il Paese feracissimo di Grani, e di Herbe pe’ Pascoli. Ager iste, così scrive Strabone, cum omnis generis fructus, turn vero copiosos producit. Equis ac Ovibus aptissimus: Lana longe mollior Tarentina, minus vero candida. Regio ipsa propter Camporum convalles tranquilla. Anche da Varrone e Columella ne vien lodato il Formento. La sua temperie vi fa scendere da’ Monti più rigidi dell’Abruzzo, e da altri, a svernarvi numero infinito di Pecore, le quali sono proficue non poco all’Azienda Regale nelle Fiere di Foggia (…). Danneggia a questo Clima il soverchio caldo, e la siccità, o scarsezza delle Acque: e talvolta ancora la quantità di Locuste, che vi spigne il Paese di Otranto …”.
Dei centri della fascia centrale della provincia, corrispondente al Tavoliere, il Pacichelli cita Aprocina, San Severo con la vicina Torremaggiore, Troia, Foggia e Cerignola.

Di Aprocina, oggi Apricena, apprendiamo che “questa novella Terra fu edificata da Federico II, imperatore, e così detta dalla Cena d’un Apro, o Cinghiale ucciso nel medesimo luogo, ed apparecchiato da quella Maestà splendidamente a’ suoi Grandi”.

Di San Severo scrive: ” Di nobilissima Terra della Provincia ha vanto una delle opere di Diomede, con fabriche insigni, chiamata già Castel Drione, poi S. Severo nel 526 … Ha fertile Territorio, e assai delitioso, con le Razze bizzarrissime de’ Cavalli: la dimora però che nel Verno riesce molto gradevole, obbliga a cercare il fresco nel sito più alto di Torre maggiore la State”.

Di Troia dice: “È una città montuosa, ben circondata di mura, di vaga veduta, col fiume Chilone sotto, è di opulenza considerevole dé formenti che raccoglie nel più largo pian della Puglia”. Non cita la presenza della vite. Cosa che si ripete anche per altre località della Daunia. Pertanto si può desumere che la viticoltura è quasi scomparsa e che, comunque, non possiede rilevanza economica.

Foggia rappresentata da Pacichelli

A sua volta, Foggia “nel centro della Daunia, non ha che invidiar il vasto suo piano, a chi che sia, la copia de’ Grani, e dell’Herbe; in aria però grossa, e non a tutti salubre la State, ma invidiabile per le fresche sorgenti, alcune delle quali s’induriscono nel Verno, e all’oggetto piacevole del Gargano, e dell’Appennino. Fu stanza gradita de’ Regi, e de’ Cesari, e da loro singolarmente privilegiata”.

Infine Cerignola ha “la Campagna assai petrosa, non producendo che ferule o piante inutili. Vi ha però degli Erbaggi per le Pecore, de’ Campi valevoli per lo Frumento, e de’ Boschi fecondi non poco di Selvaggina, nei quali si compiace il proprio Barone, ch’è il Duca di Bisaccia”.

In ultimo, la zona orientale della Capitanata, cioè il promontorio garganico: Pacichelli rammenta a nord di esso Santo Nicandro, Cagnano, Carpino, Ischitella, Vico, Peschici e Vieste; a sud S. Giovanni Rotondo, Rignano e la Metropoli, Manfredonia.

Dai riferimenti dell’Autore si rileva che Santo Nicandro del monte Gargano, oggi San Nicandro Garganico, ha “il suo Territorio copioso di Grani”.
Cagnano, oggi Cagnano Varano, sorto “dalla miserabil cadenza della città di Varano, opera del Re Diomede” è ubicato “in sito eminente, che gode gli oggetti del Lago stesso, e del Mare Adriatico, abondando di Olio, di Vino, e Formento”.

Carpino “vanta i medesimi cominciamenti di Cagnano (…) con lo stesso ameno prospetto, e fecondità”.

Ischitella “è cinta di mura, distante un miglio da Rodi in un Colle delitioso a veduta dell’Adriatico, e in clima assai dolce”.

Vico è “resa vaghissima dall’eminenza del sito, dalla temperie del clima, dalla delitia de’ Giardini, e dalla copia delle Acque”.

A Peschici “gli habitanti applican per lo più alla Pescagione, o coltura de’ Campi: sendo fruttifico il Mare, che le sta al lembo, e fecondo il Territorio di Cedri, Limoni ed altre specie di Agrumi, col giovamento delle Acque, che dentro, e fuori vi sorgono”.

Veste, oggi Vieste, “è città Regale, insinuata nelle falde del Monte Gargano, dal canto dell’Oriente, angusta in giro, e spremuta di habitatori” per effetto di ripetuti “Tremuoti” e per “il furore dei Mosulmani”.

Vieste rappresentata da Pacichelli

Rignano, “ancor si appella Arignano, quasi Altare di Giano” situato “nelle falde di un colle eminente”.

San Giovanni Rotondo “dalla forma del tempio antico di Apollo (…) resta in piano ameno, e fra l’herbe ridenti de’ prati (…). Un picciol Lago si forma qui nel Territorio di acque chiare, e fredde, che produce soavissimi Pesci. Vi ha selve altresì colme di Cacciagioni. Ma non molto discosta è la Riserva Regale de’ Volatili … chiamata la Peschiera del Re, un tempo di assai giocondo divertimento”.

La Metropoli, Manfredonia, fatta costruire nel 1236 da “Manfredi, Re di Napoli, il quale vedendo in tutta corrosa da gli anni la famosa, antichissima Siponto … un miglio lontano, e nel medesimo Lido sassoso dell’Adriatico, le sostituì questa (….).

Quindi, per quattro lunghe miglia di agevolata salita, si passa alla Città di Sant’Angelo, che con fortunato auspicio, contribuisce il nome al Monte (….). È luogo fertilissimo, e privilegiato dalla Natura, con la Manna medicinale, Vino esquisito, e altro di buono, e di raro”.

Infine, di fronte al promontorio del Gargano le isole Tremiti, già di Diomede: “Più delle tre però sono scogli (….). Nella parte di S. Domino è collocata la picciola Chiesa di questo nome, fra Boschi, e germogli del Ramerino, Ginepro, e delle Mortelle, che porgono alimento agli Uccelli, e Caprioli; e fra la Vigna, l’Horto, gli Oliveti, i Campi Seminati”. Pure nell’isola di S. Nicola, `”fuor della Cittadella, rimane un nudo piano con una Chiesa, Colombaia, due Vigne” mentre nella Cittadella “sottoposte son le Cantine, le Scuderie”.

da darapri.it

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8 commenti su “Il Pacichelli e la sua descrizione dei paesi di Capitanata di fine ‘600”

  1. guarda caso avete saltato lucera all'epoca capoluogo di capitanata e contado del molise sarebbe opportuno rileggere il pacichelli e apportare le dovute correzioni

  2. ciao anonimo. Abbiamo tratto tutto dal sito darapri.it come puoi leggere in fondo all'articolo, senza quindi apportare modifiche. Non abbiamo nulla contro Lucera anzi! E poi avremmo dovuto aggiungere anche Foggia e forse altri centri che descrisse. In ogni caso saremmo felicissimi se te ne potessi occupare tu , prevederemo a integrare il tutto, ovviamente a tuo nome. Se l'idea tuo piace puoi mandarci una mail a info@amaraterra.com

    Saluti, Domenico

    1. Ciao Domenico devi sapere che San Severo da secoli nutre astio nei riguardi di Lucera, il tutto nascerebbe dal fatto che secondo alcuni studiosi sanseveresi la Regia Udienza sarebbe stata da Lucera carpita a San Severo allorquando la stessa passò sotto il dominio dei di Sangro, ma come ben sai la storia è storia, e non la si può manipolare, la verità viene per fortuna sempre a galla. A seguito di questo vecchio astio la città di San Severo, anche ultimamente ha dimostrato che per sciocco campanilismo ha girato le spalle a Lucera vedi la risposta del sindaco riguardo alla sistemazione della provinciale Lucera San Severo,rispondendo che nessun interesse aveva San severo circa quel collegamento, per non parlare del tribunale, ma non credo sia questo il giusto contesto per affrontare simili argomenti ti ringrazio per la gentilezza, e mi riprometto quanto prima di integrare qunto mancante riguardo alle notizie del Pacichelli su Lucera.
      Saluti

  3. Memorie dei viaggi per la Puglia (1682-1687) / Giovanni Battista …
    http://www.viaggioadriatico.it › Home › Biblioteca digitale › TitoliGiovanni Battista Pacichelli, Memorie dei viaggi per la Puglia (1682-1687), edizione e introduzione a cura di Eleonora Carriero. Viaggiatori delle Puglie.

  4. ciao Domenico come promesso sono andato a rispulciare il Pacichelli, leggiti con calma quanto troverai sul sito che ho sopra riportato, con tua meraviglia noterai che san severo non è affatto descritto dal Pacichelli in nessuno dei quattro viaggi in Puglia, spero di essermi sbagliato, visto che la mia rilettura è stata velocissima, fammi sapere cosa ne pensi, a presto

  5. Gionsi, scendendo, a Lucera, già chiamata Nocera, famosa per le fabriche di Diomede, disfatte da Costanzo lmperador greco, ma riparate da’ Saraceni, con l’aura di Federigo Secondo.

    Sciarra capobandito l’assediò inutilmente con secento seguaci, che perderon tempo ne’ fossi, nel secol caduto. Si vede oggi la maestà delle reliquie del suo castello e il tempio celebre del Vescovado di Santa Maria della Vittoria, fabricato da Carlo II.

    Fra i domenicani sta il corpo del loro Sant’Agostino unghero, vescovo di questa città ch’è regia; e ne’ francescani quello di frate Angelo da Specchio Ortolano, compagno di San Bernardin da Siena e di un altro anonimo, che serba la lingua incorrotta.

    Tre son le chiese curate, otto quelle de’ regolari, fra le quali una de’ benedettini. Vi risiede l’udienza di Capitanata e del Contado di Molisi unita. Vi si celebra la fiera due volte l’anno, con molto concorso, essendo anche fertilissimo il territorio, dove penuriandosi di acqua buona, sogliono raffrescarsi ne gl’intensi calori della state, mangiando le cime tenere della malva asperse con l’aceto; o pure succhiar questo dentro i cardi selvaggi alti, che studiosamente ne colmano. La conobbe arida il Venusino, quando scrisse Ode 3 Epodo (14): Siticulosae Apuliae.”

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