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Carmine di Maggio, storia di un rivoluzionario cagnanese

L’orologiaio Peditillo (P’d’tidd), socialista e rivoluzionario, abita al mio paese in una piccola casa a pianterreno del rione Caùto, nel mezzo di un orticello a gelsi e fichi d’India che guarda la scarpata della ferrovia. L’appartamento è tutto in una stanza piuttosto grande. Un leggero tramezzo di tavole divide il negozio dai giaciglio e dalla cucina, ma il legno grezzo non si vede coperto com’è dai ritagli delle riviste a colori che ritraggono Nenni mentre arringa le folle nei comizi, o leoni cani gatti o uccelli in grandezza naturale, incollati tra belle donne poco vestite e treni direttisssimi usciti dai binari negli ultimi trent’anni, con le locomotive contorte e i vagoni sconquassati. Addossata alla porta dai vetri sempre sporchi, c’è un tavolo di noce tarlato ingombro di sveglie e di orologi da tasca sventrati e allineati accuratamente, rotella per rotella e molla per molla.
Ai muri, accanto alle oleografie di paesaggi alpini, sono attaccati a grossi ganci quattro o cinque pendoli dai batacchi impolverati, una gabbietta con una coppia di canarini e una bisaccia militare. Sul retro la casa pare allargarsi un poco. Contro la parete di fondo troneggia un letto a saccone, altissimo e gonfio, a due piazze, dove Peditillo dorme solo da quando la moglie Concetta l’ha lasciato per certe questioni politiche e religiose che spiegheremo appresso. Dal soffitto pendono fitti grappoli d’uva, fichi e pomodorini infilzati alla spina, secondo stagione. Ogni tanto un frutto, con tonfo lieve, si stacca dalla trave e va a schiacciarsi sul comò, vicino alla radio a pila o dietro il boccale di creta pieno di olive in salamoia.

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