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Giacomo Leopardi e gli “antri”…anche del Gargano

Casualmente mi sono imbattuto in un testo che mette in evidenza l’opera di Giacomo Leopardi con le grotte, in particolare ho scoperto che Leopardo parla anche della Grotta di San Michele Arcangelo di Monte Sant’Angelo.
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Nel 1821  con l’ abbozzo degli  Inni Cristiani, Leopardi parte dall’episodio dell’ apparizione di San Michele sul Gargano, figura associata proprio all’antro, e lascia intravedere un  ampliamento  della tematica attraverso questa annotazione:  “Azioni segrete degli spiriti animatori delle piante, nuvole ec. abitatori degli antri ec. E’  fama ec. e tutto quel poetico che ha la superstizione nella materia degli spiriti e geni.”Risale poi all’ anno successivo un’interessante annotazione  appartenente abbozzo dell’Inno ai Patriarchi: 
“Iddio, o per se, o nei suo’ Angeli, non isdegnava ne’ principii del mondo di manifestarsi agli uomini, e di conversare in questa terra colla nostra specie.  [… ]E parlava loro: e la sua voce usciva dalle rupi e da’ torrenti ec. Le nubi, le nebbie, le piante erano abitate dagli Angeli che di tratto in tratto si manifestavano agli occhi umani. Le spelonche ec. (Apparizione di S. Michele sul monte Gargano, e quella a Gedeone ec.)”.
Nell’ episodio di S. Michele sul Gargano, annotato in entrambi i testi, diventa centrale proprio la  questione del rapporto fra cielo e terra, tra la parte più alta  dell’ universo rappresentata dall’ arcangelo e quella più profonda della grotta: l’ Angelo è una semidivinità e un tramite che sceglie per manifestarsi agli esseri umani un luogo simbolico di “ passaggio” dal cielo alla terra, tanto che, come abbiamo visto, il luogo di espiazione costituito dall’ antro irlandese, è una sorta di “ purgatorio”, un luogo posto   esattamente a metà tra cielo ed inferi.  E si ritorna a Tirsi, alla semidivinità silvestre (che in quanto tale è per sua natura a metà tra l’ essere umano e quello divino) che lo guida verso la caverna, dove il tesoro viene spinto ancor più in basso della spelonca stessa, la quale, oltre a tramite, diventa anche, come abbiamo già anticipato inizialmente, un simbolo correlato allo stadio primitivo dell’ uomo. Troviamo traccia di   questa accezione legata all’ abito del primitivismo  in un luogo leopardiano precedente, ossia ancora una volta nel Saggio, precisamente nell’ Idea dell’ opera: “Non vediamo noi i selvaggi abitanti dei più orridi climi amare con  trasporto le loro caverne, e disperarsi se vengano costretti a cangiare  i loro geli col tepore d’ Europa?”.
E successivamente nell’ abbozzo dell’ Inno ai patriarchi in una posizione successiva  alla seconda citazione in merito all’ apparizione di S. Michele arcangelo:  “Gente felice a cui son[… ] tetto gli alberi e le spelonche contro le piogge e gli uragani e le tempeste. La tempesta li turba per un
momento: la rifuggono negli antri [… ]”.In questi ultimi esempi, spelonche ed antri sono riparo da uragani e tempeste, luoghi che la natura mette a servizio dell’ uomo per proteggersi dalle sue manifestazioni più violente.

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da “L’immagine dell’antro nell’opera di Giacomo Leopardi: un simbolo tra antichità e modernità”, di Barbara Foresti

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