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In arrivo una task-force per le emergenze di cetacei spiaggiati

La mole scura dei capodogli sussulta dal dolore mentre gli organi interni collassano sotto il peso enorme. Tutt’attorno capannelli di curiosi che vociano, fotografano, col telefonino si fanno ritrarre vicino alla vita selvaggia, che muore.

A pochi giorni dal Natale 2009, quando si spiaggiarono sul Gargano i sette capodogli, anche questo è capitato. «Ma non succederà più – dice il patologo Sandro Mazzariol – perché è stata creata una task-force di intervento nazionale che ora sta ultimando la fase di approntamento».

Mazzariol è il ricercatore dell’Università di Padova che fu tra i primi ad accorrere nella caletta pugliese di Foce Varano.
Il nostro Paese non era pronto per quell’emergenza. Non si riuscì a trovare il necessario per tentare di riportare i cetacei in mare aperto. Rimasti intrappolati sulla battigia, gli animali patirono per alcuni giorni prima di spirare. E fu impossibile alleviare le loro pene o sottoporli ad eutanasia perché in Italia nessuno aveva il farmaco giusto. In quell’occasione, il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo promise alla «Gazzetta» (era il 13 dicembre 2009) che sarebbero stati presi provvedimenti preventivi. Ebbene, secondo Mazzariol, quella promessa era fondata. «Siamo in dirittura d’arrivo – afferma – per stilare le linee guida a livello interministeriale (Ambiente e Salute) per gestire gli spiaggiamenti. Ci sarà una rete istituzionale, con le Asl, le università, gli Istituti zooprofilattici sperimentali da una parte e, dall’altra, eventuali privati (associazioni) che già lavorano alla raccolta di dati sugli spiaggiamenti. Poi ci saranno i protocolli di lavoro sia sugli animali vivi, sia sugli spiaggiati».

«Perché in questi casi qui – continua Mazzariol – la scelta può anche essere di farli morire naturalmente, ma bisogna evitare che ci sia il pubblico e quindi si deve prevedere l’intervento di volontari che tengano lontani i curiosi. Poi bisogna evitare che questi grandi animali soffrano, sedandoli. Oppure si procederà a eutanasia che sarà codificata a seconda delle dimensioni e della specie dell’animale. Per esempio, l’eutanasia sarà sia farmacologica, sia no. E, nel caso dei capodogli, che sono una specie estrema, li si sederà così che da limitare i patimenti, agevolandone anche una pietosa morte».

«Inoltre – dice il ricercatore – in risposta ad una raccomandazione di Accoobams, accordo che protegge i cetacei in Mediterraneo e Mar Nero, il ministero dell’Ambiente ci ha finanziato un gruppo di pronto intervento per gestire spiaggiamenti di massa. Quindi, da quest’anno, dovrebbe lavorare a livello nazionale coinvolgendo: Università di Padova (il mio dipartimento, di Sanità pubblica Patologia comparata e Igiene veterinaria, e la Banca Tessuti); il dipartimento di Scienze ambientali di Siena; il museo di Storia naturale di Milano e il dipartimento di Bioacustica dell’Università di Pavia; la facoltà di Medicina veterinaria di Teramo. E ci coordineremo con le strutture sanitarie locali, lavorando di concerto con minAmbiente e ministero della Salute».

A quanto dice Mazzariol, «gli altri Paesi mediterranei non hanno alcunché di simile» quindi la squadra italiana, in caso di necessità, «sarà pronta a intervenire anche all’estero».

Però il ricercatore – che è anche coordinatore della neonata «Unità per la necroscopia dei grandi cetacei» – sottolinea che quella ricevuta «è una sponsorizzazione una tantum che non copre la continuità». Quindi si augura «che arrivi qualche sostenitore privato, perché poi i soldi finiscono».
Fonte: La gazzetta del mezzogiorno
 

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