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Il trabucco, trappola amorosa….per chi sa

Quanti, hanno ammirato stupefatti uno dei trabucchi della costa garganica e si sono chiesti quale grande mente, di quale architetto, di quale ingegnere idraulico (lo sveliamo subito: quella di un pescatore con la terza elementare!), abbia mai potuto progettarne e tantomeno costruirne uno. Quanti ne hanno fotografato ogni minimo particolare, osservato da lì il tramonto, atteso l’arrivo del banco di cefali… quanti! E quanti si sono interrogati sul loro futuro (tra cui chi scrive)?

Ormai s’è capito che il trabucco sta morendo. Il concetto in sé di trabucco sembra quasi filosofia, ovvero di attaccamento, cosa che personalmente proviamo per ogni singolo pezzo di legno del nostro trabucco a Punta San Nicola (foto del titolo; gli altri sotto sono rispettivamente di Calalonga, 1-2, Montepucci, 3, Manacore, 4, Usmai o Bescile, 5; ndr). La passione, la cura e quasi l’affetto – come si trattasse di una creatura, un figlio, per il quale nostro nonno sussulta durante una tramontana invernale sperando di trovarlo ancora lì (una volta, la notte di san Silvestro di un lontano 1940 venne distrutto) – si sta affievolendo.

I “forestieri” sono affascinati, ammaliati da tanta ingegnosa fragilità e forza, nonché da qualcosa di esteticamente bello, un tutt’uno con gli scogli e il mare, un’opera d’arte con poche eguali nel mondo. Fanno domande, a volte ingenue (“ma d’inverno lo smontate?), vogliono sapere tutto: gli anni, chi lo ha costruito, cosa si pesca, quanto si pesca, fino allo sfinimento.
I peschiciani non sono mai stati realmente una giornata su un trabucco, tranne i proprietari che ci vivono. Eppure è qualcosa da suscitare invidia, perché attira gente agli attigui ristoranti. Qualcosa che sembra non fare più parte della vita di questo paese, che una volta accorreva in massa alle grandi pescate. Ma non sono né i primi, gli invidiosi, né tantomeno i secondi, gli indifferenti, a designare la fine del trabucco, bensì i proprietari.

Alcuni trabucchi sono ormai solo modellini, senza carrucole, funi o reti. Chi invece ancora le ha, non pesca più di due volte l’anno e i figli dei vecchi trabucchisti non hanno nemmeno più la capacità o la voglia di continuare, fondamentalmente perché il trabucco non l’hanno vissuto come noi, non si sono mai sdraiati sulla rete di notte per guardare l’intreccio di fili e stelle cadenti, perché non ci hanno passato la loro vita, veramente, e perché non ci hanno mai veramente pescato.

I trabucchi scompariranno? No, affatto, continueranno a resistere. Ma perderanno l’anima, diverranno una scultura, un inno a tempi lontani in cui l’uomo ha sfidato le mareggiate del Basso Adriatico per vivere e sfamare le famiglie numerose con una zuppa di pesce, uno scheletro di legno che la salsedine continuerà a logorare fino a quando non estinguerà l’ultimo vero costruttore di trabucchi. E chissà se ce ne saranno altri!

Domenico Ottaviano

Fonte: Puntodistella.it

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