E’ come se l’Abbazia di Peschici , di tanto in tanto, mandasse dei segnali per dimostrare che il suo corpo è ancora vivo. Vi racconto l’ultima:
Qualche mese fa l’importanza del monumento ha attirato l’attenzione di tre studentesse (da diverse università italiane) tanto da farle prendere la decisione di sviluppare dei lavori di tesi sul sito storico.
Una di loro, Giorgia De Vicariis, lucerina di origine, durante l’ultima ricognizione è stata accompagnata dal ricercatore dell’UNIVPM Andrea Giuliano (sanseverese) e dal prof. Gabriele Fangi, da poco nei 7 del CIPA (Comitato Internazionale di Fotogrammetria Architettonica) e con all’attivo numerose missioni di rilievo fotogrammetrico presso aree archeologiche orientali e nelle aree di conflitto.
Avendo l’onore di essere presente nell’occasione non ho avuto remore nel visitare alcuni ambienti meno conosciuti del complesso (perchè non molto sicuri dal punto di vista statico) riuscendo a individuare nella stanza del 1° piano lato NE un interessante fregio affrescato replicato su almeno tre delle quattro pareti della stanza (il solaio è crollato e non è stato possibile riscontrare la presenza sul lato dal quale ho avvistato l’affresco); purtroppo il tempo ha deteriorato profondamente quasi del tutto le pitture a eccezione di una porzione di alcuni metri che sono riuscito a fotografare.
Dopo aver fatto un mashup delle varie foto all’affresco ho selezionato la porzione più leggibile iniziando a cercare di tirar fuori quante più informazioni possibili; innanzitutto a partire dall’unica frase, ricostruita
e che potrebbe essere tradotta
oppure
Restauriamo l’ordine della prima regola
dei canonici regolari di Sant’Agostino
(La prima traduzione è di Matteo Vocale, la seconda di Domenico Moretti e Walter di Pierro).
Manca, o è illeggibile, purtroppo, una data ma è chiaro, comunque, che si tratta di un intervento di restauro a opera dell’ordine dei canonici regolari di Sant’Agostino.
Un altro elemento: la scena centrale con un vescovo e tre frati inginocchiati; potrebbe essere, secondo la prof.ssa Rauzino, quella della consacrazione dell’abbazia, del dono della Regola.
Questa sarebbe l’unica raffigurazione esistente di monaci calenensi.
Un breve ma efficace consulto con l’amico Antonio Vinciguerra mi dà un altro elemento sull’affresco: si tratterebbe di una “grottesca”. Treccani ci viene in supporto:
Nome (usato per lo più al plur.) con cui è stato designato un particolare tipo di decorazione parietale in voga alla fine del sec. 15° e durante tutto il sec. 16°, derivante da quelle della Domus aurea dell’imperatore Nerone, le cui volte, sepolte sotto le rovine delle terme di Traiano e di Tito, furono esplorate come grotte (e di qui il nome) dagli artisti del Rinascimento; il motivo dominante è costituito da forme vegetali di fantasia, intrecciate a figure umane, ad animali, a maschere, armi, inserite in elementi architettonici e prospettive eseguite a stucco o ad affresco, spesso con l’introduzione dell’oro, in stile spigliato e compendiario (leggi altro).
Dunque, ipotizzabile che i canonici Regolari di Sant’Agostino, con sede centrale a Roma, vollero seguire la moda del tempo chiamando un pittore che immortalasse l’evento del restauro di Kàlena.
La diffusione della pittura a grottesca nel Cinquencento fu immensa. Dopo la sperimentazione del tardo Quattrocento, le sue forme definitive furono stabilite con Raffaello a Roma, nelle Logge Vaticane e a Villa Madama, e i suoi collaboratori le diffusero per tutta l’Italia, dopo il Sacco di Roma del 1527. Negli anni Settanta, il più vasto complesso esistente di grottesche era nel palazzo Farnese a Caprarola (Cristina Acidini, Grottesche. Le volte dipinte nella Galleria degli Uffizi).
La datazione, quindi, dovrebbe essere compresa tra fine ‘400 e ‘600 (esistono anche grottesche di quel secolo) ma la prof.ssa Rauzino ipotizza che l’affresco potrebbe essere proprio di fine ‘400 quando, come apprendiamo da Benedetto Cocorella in Cronica Istoriale di Tremiti (pubblicata postuma 1606), l’abbazia viene ristrutturata dai canonici regolari; l’affresco potrebbe celebrare la fine del restauro mostrando la rifondazione a tutti i visitatori che venivano accolti nel refettorio.
Prima della loro venuta, le rovine erano talmente evidenti che non era più riconoscibile nessuna forma dell’antico Convento.
Insomma, un altro tassello è aggiunto alla storia di una delle abbazie più antiche d’Italia.
Il monumento, come molti sapranno, è in un grave stato decadente.
Per questo puoi dare una mano anche tu per provare a cambiare qualcosa, semplicemente votando l’abbazia come Luogo del Cuore FAI su questo sito.
Aggiornamento 12/10/2016 Articolo su l’Attacco
Fantastica abbazia. Mai vista. Spero di visitarla presto
Splendore del passato e decadenza del presente: miseria del futuro assicurata!