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L’antica (scomparsa) tradizione della viticoltura sul Gargano

Non ricordo come ma qualche giorno fa sono capitato casualmente su una voce di Wikipedia dal titolo “Garganega”.
Riporto: Il Garganega è un vitigno a bacca bianca. Il più importante delle province di Verona e Vicenza, la varietà che domina le colline della DOC Soave. […] Se ne parla la prima volta nel 1200 nel celebre trattato dello scrittore e agronomo Pietro de’ Crescenzi, nel quale si cita l’uva “Garganica”.

E che “garganega” sia riferito al Gargano è fuori dubbio. E allora inizio a “scavare”
Nel 1791, padre Placido Spadafora, nella sua “Prosodia italiana, ovvero l’arte con l’uso degli accenti nella volgar favella d’Italia” scrive “Garganeo, v. Garganea, ovvero del Gargano, v. Garganega“.

Di inizio ‘900 è la citazione nell'”Archivio per l’Alto Adige con Ampezzo e Livinallongo”: “Gargànega , sorta d’uva . Il nome ne indica la provenienza dal Monte Gargano. E’ detta Bianchet e Bianchetta a Meano, Biancazza a Levico e Caldonazzo.

Giancarlo Malacarne in “Sulla mensa del principe: alimentazione e banchetti alla corte dei Gonzaga”, pubblicato nel 2000, rimanda alla forse uva proveniente dal Gargano

In “Parole da gustare: consuetudini alimentari e saperi linguistici” (atti del Convegno Di mestiere faccio il linguista. Percorsi di ricerca, Palermo-Castelbuono, 4-6 maggio 2006) si riporta, a proposito del termine “garganega”: “forma veneta dell’agg. garganica, proprio del Gargano“.

Ma allora il Gargano aveva una tradizione vitivinicola?

Vigne a Vieste, Lungomare Mattei, anni’80 da C’era una volta Vieste

Il prof. Nello Biscotti ne potrebbe parlare per ore e giorni con il suo garganico Macchiatello, tra le decine di vitigni autoctoni scomparsi (sic!) ma in sintesi la risposta è si!
Possiamo consolarci magramente con galleria fotografica dei suoi vitigni antichi salvati che trovate in fondo a questo post.

“Qui ove volgi lo sguardo trovi viti”, scriveva alla fine del 1500, Carlo Pinto a proposito delle campagne di Vico del Gargano; e l’abate Pacichelli, nel 1695 (Regno di Napoli in prospettiva) descrive vitigni alle isole Tremiti (per i bisogni della guarnigione militare), a Cagnano Varano, Carpino e Monte S. Angelo, con vini di qualità, migliori di quelli ottenuti da vigneti in zone pianeggianti.

Da una parte sono i ricordi e le foto d’epoca a dircelo, da Valle Carbonara a Monte Sant’Angelo agli sciali di Vieste e Peschici, dall’altra toponimi come Vignanotica (eh, si…vigna nodosa!) o ancora testimonianze materiali come le sedi dei torchi da spremitura scavati nelle grotte dei valloni terrazzati come quello di Vignantiche, a Monte S. Angelo (nome non casuale).

Scrive su Facebook il prof. Nello Biscotti, proprio nei giorni in cui questo post viene redatto:
VIGNE DI MACERA. Modello colturale integrato sui terrazzamenti di Monte S.Angelo, Mattinata, inseriti nei paesaggi agrari storici d’Italia. Da memorie di anziani pastori che ricordano ancora i vitigni (Malvasie nere, Pagghjione, Rijt) allevati a “alberello” e le lavorazioni del terreno con la zappa prevalentemente; ricordano ancora che lo zappatore doveva procedere orientato a valle per salvaguardare il terreno dall’erosione. Fatiche incredibili , ma con ricordi di vini straordinari e di usi della risorsa terra ad altissima sostenibilità“.

E se non bastasse, ci sono i trattati di economia e agricoltura dei due secoli passati, come Manicone (La Fisica Appula, 1807), Scelsi (Statistica generale della provincia di Capitanata, 1867), il Nardini (L’agricoltura e gli agricoltori del Gargano, 1914) e tante altre tracce nei vari dizionari corografici pubblicati nel XIX sec sull’onda dell’impulso agli studi in statistica economica e geografia umana.

Cosa ne resta oggi?

Il prof. Nello Biscotti tra le sue vigne “antiche”

Scrive Biscotti in “Frutti dimenticati e biodiversità recuperata”:
Di questi eventi rimangono oggi testimonianze di piccole vigne, sopravvissute all’abbandono diffuso della viticoltura garganica, mantenute in vita ancora per poco da anziani contadini. Sono stati censiti 58 vitigni, distinti per caratteri ampelografici e colturali. Non vi era un vino, ma i vini del Gargano: di Vieste, Vico, Ischitella, Monte S. Angelo, Sannicandro, San Giovanni Rotondo.
Doveva trattarsi di autentica identità, se si tiene conto del fatto che ogni agro, ogni paese aveva più o meno il suo vitigno: Uva da Macchia, Puducin Tener, Barbaroscia, Bell’Italia, Uva Sagra, Zagarese (Vico del Gargano), Pagghjione, Nereto, Lunardbèll (Monte S.Angelo), Cassano Nero, Rausano (San Giovanni Rotondo), Plaus, Cestoneja, Uva di Vespa, Uva degli Sciali (Vieste), Virr’cùn (San Marco in Lamis), Moscato Garganico (Vico, Vieste, Peschici), Plavca, Nereto (Peschici); Uva a Nocella, Uva Sant’Anna Bianca e Nera (Ischitella).
A tutt’oggi non è stata presa nessuna iniziativa in merito per cui è concreto il rischio di erosione genetica.”


Approfondisci qui:
Frutti dimenticati e biodiversità recuperata
VITIGNI E TERRITORIO, STORIA DELLE VIGNE DEL GARGANO
NELLO BISCOTTI RACCONTA IL VINO DI VICO DEL GARGANO
I vitigni del Gargano da salvare a TG2 Eat Parade – 29 agosto 2014
L’ATLANTE DEI VITIGNI TRADIZIONALI DI PUGLIA
I VITIGNI DI VICO DEL GARGANO

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