di Domenico Sergio Antonacci Nella seconda metà dell’800, in piena età positivista, fioccano gli scritti sui possibili utilizzi del Lago di varano come porto commerciale e militare. Tra i primi (vedi aggiornamento a fine post) quello del senatore del Regno Giuseppe Aurelio Lauria (1862), su stimolo dell’ingegnere Francesco Paolo Albanese (1861). L’idea dell’utilità del “Porto Varanese” nello scritto “Porto di Varano, idee di Giuseppe Aurelio Lauria” era basata su alcuni dati di fatto: prima o poi ci sarebbe stata una guerra con l’Impero Austro-Ungarico e una base nel medio Adriatico avrebbe costituito un grande vantaggio; in Europa non c’erano porti ampi come quello ipotizzato del lago di Varano (non aveva bisogno di rada vista l’ampiezza); la materia prima era a disposizione in loco: mano d’opera dalla colonia penale delle Tremiti, legname, catrame e pece dai boschi, ferro dal sottosuolo (si credeva che le rocce garganiche fossero ricche di ferro); sul lato commerciale tante sarebbero state le materie da esportare: grano, lana, tessuti in primis; a sostegno di tale scenario c’era quello dell’apertura del canale di Suez. Lunghe sono le descrizioni dell’anfiteatro naturale che circonda il lago, immaginando le due foci alle estremità, i fari di Rodi e Devia, fortificazioni e postazioni militari a Rodi e Calarossa oltre che sulle colline da Ischitella a Cagnano e sull’istmo di Varano. Tuttavia il senatore faceva i conti senza l’oste e il suo saggio non è sostenuto da alcuna scientificità; a tal proposito basti citare le erronee batimetrie (fino a 26mt secondo Lauria mentre in realtà la profondità massima è di 5/7mt in pochi tratti) e la non conoscenza dei livelli di lago e mare che, teoricamente, avrebbe potuto portare allo svuotamento del lago. Ma come mai l’interessamento di Lauria, un napoletano? La scheda sul sito del senato riporta che il cognome di sua