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TREKKING – La Valle dei Mulini a Vico del Gargano

di Domenico S. Antonacci post del 13 gennaio 2013 Uno dei mulini di Vico del Gargano –  Foto Antonacci Vico del Gargano – Rodi Garganico – Ischitella. Il “triangolo dell’acqua”, delle numerose fontane e sorgenti e degli agrumeti. Una peculiare formazione geologica che permette all’acqua sotterranea di emergere in superficie e formare corsi perenni di acqua dalle portate importanti. Un tempo la forza idraulica di questi corsi d’acqua veniva sfruttata per far muovere le pale dei mulini che macinavano il grano e altri prodotti della terra. A Vico del Gargano, nella cosiddetta Valle dei Mulini, un tempo c’erano oltre 20 mulini. Quello che ne resta oggi è poco, poco più di qualche rudere ma ad un occhio attento le tracce delle opere di “ingegneria idraulica” antelitteram sono ancora ben visibili. Il recupero di tali manufatti sarebbe una prospettiva molto interessante ai fini turistici ma evito di ripetere le solite cose. Da un privilegio di Ruggero II del 1134: […]la Chiesa di San Nicola di Montenegro con lo stesso Casale, con due mulini, che sono vicino alla stessa Chiesa di S. Nicola dalla parte inferiore, e con le altre sue pertinenze, con gli abitanti del suddetto Casale, con i diritti di proprietà, il distretto, e tutti i diritti degli stessi[…] Di seguito un video e la fotogallery: Ringrazio infinitamente Tonino Trombetta che mi ha prima raccontato e poi accompagnato sul posto. Per qualsiasi informazione resto a disposizione.  Testimonianze scritte sugli stipiti Le paratoie sopra al mulino per far confluire l’acqua fuori o dentro la struttura Una delle tante canaline per l’irrigazione Sui muri del mulino si prendevano annotazioni…e si incidevano racconti e fantasie Il corso è inquinato dalle acque maleodoranti che escono dal depuratore di Vico del Gargano Scale nella roccia per superare i ripidi pendii Un dettaglio dell’interno del mulino..sotto

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Trekking su Monte Calvo, la “vetta” del Gargano – FOTO, VIDEO E INFO

di Domenico S. Antonacci post del 27 dicembre 2010 Foto di Luigi-CC (Fonte: wikipedia.org) Qualche giorno fa con la guida di Matteo Plazzo siamo saliti su Monte Calvo, la montagna più alta del Gargano sita nel territorio di San Giovanni Rotondo, sperando di trovare un pò di neve. Magra consolazione…abbiamo trovato solo nebbia, tanta nebbia, che ha rovinato la visione panoramica che normalmente offre questo posto. Monte Calvo è alto 1056mt ed è la quinta altura più alta di Puglia (Monte Cornacchia, nel subappennino dauno, lo supera di circa 100mt) e la prima del Gargano. Caratterizzato da numerose doline (per la maggiorparte sfruttate fino a qualche decennio fa dai pastori come recinto per gli animali) è particolare per il suo essere spoglio, brullo (da qui “Calvo”): per la maggiorparte della sua superficie vi si trovano infatti solo prati ed arbusti sparsi che permettono sì, di avere una visuale ampia dal Gran Sasso alla terra di Bari fino al Monte Vulture, ma espongono il rilievo a forti venti e nevicate (frequenti ed abbondanti d’inverno, anche oltre 50cm) che lo rendono completamente bianco. La causa del suo esser senza alberi risiede sicuramente nei tagli indiscriminati di legname dei secoli scorsi seguiti da incendi ed un utilizzo come pascolo che non ha permesso la ricrescita delle piante così come probabilmente causano anche le rigide condizioni atmosferiche invernali (di notte la temperatura facilmente va sotto lo zero). Sicuramente, infatti, contribuiscono condizioni meteo stazionali di aridità e bassa piovosità data l’esposizione a sud, ma senza l’azione del uomo il monte sarebbe ricoperto da un rigoglioso bosco. In realtà la vegetazione determinatasi per l’azione antropica rappresenta un elemento di grande rilevanza scientifica, maggiore del potenziale bosco. Si tratta, infatti, di formazioni degli habitat d’interesse comunitario prioritario delle “Praterie su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) con stupenda fioritura di

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VIDEO – La RAI torna a parlare di Lucera e della fortezza di Federico II

da adessoilsud.it La RAI torna a parlare di Lucera. Non di tribunali, ospedali o presidi dello Stato che stanno lentamente andando via. Oggetto della discussione sviluppata nella trasmissione “Ambiente Italia”, programma di approfondimento è questa volta il patrimonio culturale di Lucera e la condizione politico-amministrativa-lavorativa del centro federiciano. Il tutto nella cornice del sistema universitario italiano. […] […] A me sembra pazzesco che in un paese come l’Italia uno che studi latino e greco non abbia le porte aperte. E’ più normale studiare latino e greco invece che ingegneria aerospaziale no? Se sei nato in un posto del mondo in cui si parla “griko”, e dove le donne piangono ai funerali e si vestono di nero, proprio come nella tradizione classica e dove la tua casa affaccia sul castello di Federico II e se cerchi un po’ tra le carte del paese trovi documenti in latino medievale che nessuno ha ancora tradotto mai, e che spiegano come funzionava il mondo dei nostri avi nel luogo dove grazie a loro ancora viviamo». La giovane, probabilmente attivista del Comitato Riscrivere la Storia… In dissesto, osserva: «Il castello di Federico II è magnifico, la Torre della Leonessa è un posto che ti riconcilia con l’esistenza. C’è solo quel posto così al mondo, ce l’abbiamo solo noi. In America, in Giappone, in Norvegia, la torre della leonessa non c’è. Volevano metterci dei casoni dentro, l’anno scorso, puntellare la zona di scavo, costruirci non so cosa, un progetto della sovrintendenza generale. Capisce?  Continua la lettura qui La torre della Leonessa. La fortezza è tra le più grandi d’Europa. Scopri anche la curiosa storia dei musulmani di Lucera,  link 1 – link 2

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Il Pacichelli e la sua descrizione dei paesi di Capitanata di fine ‘600

Giovan Battista Pacichelli nacque a Roma nel 1634; è famoso per aver scritto Il Regno di Napoli in Prospettiva (pubblicato postumo nel 1702), un’opera, commissionatagli dal duca di Parma Ranuccio II, per la cui stesura viaggiò quindici anni nel Regno di Napoli alla ricerca di storie e costumi di paesi e città. Nella parte dedicata alla Capitanata, nel volume 3, il Pacichelli descrive le condizioni insalubri della zona e le sue difficoltà climatiche, caratterizzandola soprattutto come dedita alla pastorizia. È da precisare che la Capitanata, duodecima e ultima provincia del regno, non ha oggi gli stessi confini che aveva sotto i Borboni, tre secoli addietro. Infatti, mentre ha mantenuto i suoi confini naturali a sud con la Terra di Bari seguendo il corso dell’Ofanto, ad ovest con la Basilicata, il Principato Ultra e il contado del Molise attraverso la catena appenninica, a settentrione invece i confini erano più a nord, comprendendo anche il territorio afferente alle diocesi di Larino e di Termoli. In merito alle produzioni, agli abitanti ed alle consuetudini di questa provincia Pacichelli così scriveva: “È il Paese feracissimo di Grani, e di Herbe pe’ Pascoli. Ager iste, così scrive Strabone, cum omnis generis fructus, turn vero copiosos producit. Equis ac Ovibus aptissimus: Lana longe mollior Tarentina, minus vero candida. Regio ipsa propter Camporum convalles tranquilla. Anche da Varrone e Columella ne vien lodato il Formento. La sua temperie vi fa scendere da’ Monti più rigidi dell’Abruzzo, e da altri, a svernarvi numero infinito di Pecore, le quali sono proficue non poco all’Azienda Regale nelle Fiere di Foggia (…). Danneggia a questo Clima il soverchio caldo, e la siccità, o scarsezza delle Acque: e talvolta ancora la quantità di Locuste, che vi spigne il Paese di Otranto …”. Dei centri della fascia centrale della provincia, corrispondente al Tavoliere,

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Le tracce degli attacchi pirati nella tradizione orale del Gargano

Venivano chiamati turchi o mori Decine di incursioni pirate si sono succedute nei secoli sul Gargano fino a fine ‘600. Michele Vocino (ne abbiamo parlato qui) raccolse un interessante nenia nel suo “Lo sperone d’Italia” del 1914 che testimonia come ancora a cavallo tra ‘800 e ‘900 nella tradizione orale fossero presenti tracce di quella paura che viveva in ogni abitante del Gargano. Tutti li Santi ji voglio chiamare ma Sant’ Michele cchiù di tutti.Sant’ Michele ca si cchiù putentelibbr’a ninno mio da li Turchi…E dalli Turchi e dalli mala gentelibb’ra lu ninno mio ca jè nnucente

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