di Domenico S. Antonacci Come apprendiamo dal Vocabolario dei dialetti garganici di Francesco Granatiero in molti paesi del Gargano l’arcobaleno si chiama arche Nuè, Arcanuwé, Arcanuwéle (Mattinata e Monte Sant’Angelo), dd’arke de Nwè (Vico del Gargano) e così via. In sostanza si traduce con Arco di Noè (l’arcobaleno appare dopo il diluvio nei racconti). L’arcobaleno è, infatti, il “segno dell’alleanza” stabilito tra Dio e gli uomini e tutti gli esseri viventi (Genesi, 9,12). Da qui il riferimento dell’ “arcanuè” (arca di Noè). Siamo alle primissime pagine della Bibbia. Nel Gargano la parola arriva probabilmente dall’omelia della Chiesa. Genesi 7:11–24; 8; 9:8–17. Piove per quaranta giorni e quaranta notti (7:11–12). Tutte le persone e le creature che non si trovano nell’arca muoiono, e le acque ricoprono la terra per centocinquanta giorni (7:13–24). Quando le acque si ritirano, Noè, la sua famiglia e gli animali lasciano l’arca (8:1–19), e Noè offre un sacrificio al Signore (8:20–22). Il Signore stabilisce un’alleanza con Noè e mette in cielo l’arcobaleno come pegno di alleanza (9:8–17). Ma c’è da notare che anche per i nativi americani e altre popolazioni l’arcobaleno ha (o aveva) un significato simile (ed infatti sono i discendenti dei popoli euroasiatici che migrarono, forse, attraverso l’Alaska nel caso degli indiani d’America). In questo senso, l’arcobaleno costituisce un ponte, una linea continua tra la terra e gli spazi celesti propri ed abitati dalla divinità. Apprendiamo che tra la terra e il cielo esiste un ponte, il “Ponte dell’arcobaleno”, ai cui piedi è collocato un luogo speciale in cui tutti gli animali che abbiamo amato in vita (cani, gatti, coniglietti) riacquistano, come per magia, la loro forma fisica perfetta se morti per malattia o la giovinezza se deceduti per vecchiaia. E per quelli abbandonati? Beh, anche loro hanno la possibilità di riscattarsi dalle crudeltà