Storia di un epigrafe marmorea in viaggio tra il Gargano e Cava de’ Tirreni
All’ingresso del Palazzo Vescovile di Cava de’ Tirreni è situata questa epigrafe in marmo con un’iscrizione in lingua latina. Nulla di particolare se non fosse che la provenienza è la Chiesa di San Pascasio, un tempo situata a Monte Sant’Angelo (qualcuno sa dove?). La prima testimonianza dell’esistenza dell’epigrafe è un’agiografia, composta non prima del XII sec., che fissa l’esperienza del santo abate e la sua morte nei pressi del Monte Gargano; in essa è infatti riportata una versione dell’epitaffio ‘più lunga’, che probabilmente l’agiografo costruì proprio partendo dal testo dell’iscrizione. È possibile poi che la lastra si trovasse in una chiesa dedicata proprio a S. Pascasio, da situare nelle prossimità di Monte Sant’Angelo; donata nel 1086 alla chiesa di S.Egidio di Pantano, sita in San Giovanni Rotondo e dipendente a sua volta dall’abbazia cavense, scompare completamente dalla documentazione poco dopo, forse per abbandono. La permanenza di San Pascasio a Monte Sant’Angelo è attestata ne “Il regno di Napoli diviso in dodici provincie”, di Enrico Bacco, scritto nella seconda metà del ‘600 In questo modo possono comprendersi forse anche le vie che portarono il marmo nella cittadina campana. La lastra fu infine ‘riscoperta’ a Cava de’ Tirreni nel 1646 , come dichiara una lapide posta a memoria l’anno seguente. Il testo si trovava inquadrato tra due candelabri, di cui resta ora solo un estremo lembo del sinistro ancora visibili negli anni ’60 prima dello sconvolgimento post-sismico della chiesa e i successivi vandalismi ivi perpetrati. Il testo originale: Conditus hoc tumulo dormit Paschasius abbas, iustitiae cultor, summae pietatis amator, hospitibus patulus, quo nulli est ianua clausa, nullius inpasta esuries vel tecta negata, 5 solator viduae omnis nutritorque pupilli, utilis et factus cunctis ad cuncta medella qui, nonagenariam claudens sine crimine vitam, redditur in terram membris et in aethera flatu. D̅(e)p̅(ositus) die XI