Un paesaggio a noi vicinissimo ma che non è più riconoscibile. La dinamica che ha innescato il degrado è stato l’abbandono, specialmente nella gran parte dei paesaggi agrari delle aree collinari e montane; gli altri, quelli delle fasce costiere o pianeggianti, sono stati cancellati dall’urbanizzazione Ci è facile associare l’archeologia a luoghi taciuti dal tempo come è altrettanto facile immaginare lo studio archeologico rivolto solo a mondi perduti, civiltà misteriose e ruderi nascosti, custodi di preziosi tesori, che solo un novello Indiana Jones può raggiungere. Eppure esiste anche «un’altra archeologia», quella più vicina alla realtà, che vive e interpreta il passato scomponendo il presente. Questa archeologia si nutre di luoghi a noi vicini, ma non per questo meno sorprendenti. Ricostruire paesaggi è la filosofia dell’Archeologia del Paesaggio, nuova disciplina che la si trova oggi in diversi corsi di laurea (facoltà di Lettere). Attraverso la lettura e l’interpretazione del paesaggio attuale si può ricostruire la storia del territorio, sia sotto il profilo fisiografico sia, ovviamente, storico. Si ricorre a cartografia, fotografia aerea, toponomastica, archeologia, fonti scritte, testimonianze orali. La ricostruzione non è affatto facile se l’oggetto è il paesaggio: vegetazione, usi del suolo, strutture produttive, forme colori e, come si sa, il paesaggio non lascia fossili. L’archeologo classico scava, l’archeologo del paesaggio deve saper leggere e interpretare ciò che è possibile decifrare dai paesaggi odierni o attuali. Un fronte di ricerca di questa nuova disciplina sta operando nella ricostruzione dei paesaggi agrari, quelli che hanno caratterizzato l’Italia agricola, l’Italia di non più di un cinquantennio addietro, ma che hanno assunto oggi i caratteri di paesaggi agrari storici. Ricostruire questi paesaggi non è affatto facile e forse è più facile ricostruire un paesaggio di epoche lontanissime che questi paesaggi che tra l’altro riguardano il nostro passato prossimo. Un paesaggio dunque a noi