Vai al contenuto

Le antiche maschere del carnevale garganico

di Gabriele Tardio Ciannone Il Ciannone era la maschera di carnevale per antonomasia e nel linguaggio popolare spesso il carnevale era accomunato a Ciannone. Nel medioevo a San Marco in Lamis tutte le maschere di carnevale vengono chiamate Ciannone, come si evince negli statuta et decreta Universitas Sancti Marci in Lamis approvati nell’Anno Domini 1490, indictione VIII, die XXXI iulii. Lo Statuto recita: Ancora fu proveduto statuito et ordinato nei dì di Carnevale non si possa ire co faccia coverta e facire schiamazzi, pena doppia et sieno tenuti el vicaro et li priori a galera detti Ciannoni. Anche in alcuni detti popolari sammarchesi si ricorda questa figura carnevalesca “jènne arrevate lu munne mmane a Ciannòne”. Il Ciannone è ricordato anche in altre località. La maschera grottesca di Ciannòne vestiva pelli di capra nera a volte avevano la testa ricoperta da una grossa zucca, oppure il personaggio era ricurvo sotto il pelliccione di capra, il volto sporco di carbone o fuliggine, e i baffi folti; probabilmente rappresentavano la dura vita degli uomini dei boschi; faceva gesti e urla selvagge, in mano portava un bastone con nastrini colorati e dei sonagli. I Ciannoni dopo la satira del Carnevale Morto facevano il Ballo dei Ciannoni. Il “Ballo dei Ciannoni” era una vera e propria danza, quasi magico-rituale, inscenata dai Ciannoni che seguivano la compagnia del Carnevale Morto, durante la danza urlavano e facevano scene selvagge forse in modo da rappresentare l’aspetto selvaggio di chi per mesi non rientrava in paese ma viveva sempre nei “boschi”. Zi  Nicola o Cola lu sbre lléffe La maschera di Zi  Nicola o Cola lu sbre lléffe aveva in testa il tricorno, il cappello a tre punte, gallonato da un nastro nero con fiocchetti a ciascuna delle punte, su una parrucca di stoppa; portava l’occhialino o gli occhiali

Leggi tutto »

Quello che non colsi…carrellata di link 9

Anselm Kiefer ed il centro storico di Vico del Gargano a proposito visita anche questo link  I due vescovi di San Marco in Lamis (ultima ricerca di Gabriele Tardio) Progetto Museo dell’agricoltura tradizionale a Vico del Gargano Francobollo delle fracchie di San Marco in Lamis Il Google….garganico Aree boschive, riconosciuta la funzione produttiva…ma attenzione Quello che non colsi 8 Lesina e Trinitapoli tra i depuratori oltre la soglia

Leggi tutto »

La storia sconosciuta dei pugliesi in Crimea, emigrati e poi deportati

La presenza di popolazioni italiane in Ucraina e Crimea ha una lunga storia che rimonta ai tempi dell’Impero romano e della Repubblica di Genova e di Venezia: addirittura a fine Settecento un abitante su dieci di Odessa era italiano. Nel 1830 e nel 1870 giunsero in Crimea, nel territorio di Kerč, due flussi migratori provenienti dall’Italia, soprattutto dalle località pugliesi di Trani, Bisceglie e Molfetta, allettati dalla promessa di buoni guadagni e dal miraggio di fertili terre quasi vergini. Erano soprattutto agricoltori, marinai (pescatori, nostromi, piloti, capitani) ed addetti alla cantieristica navale. La città di Kerč si trova infatti sull’omonimo stretto che collega il Mar Nero col Mar d’Azov. Qui costruirono nel 1840 una Chiesa cattolica romana, detta ancora oggi la chiesa degli Italiani. Da Kerč gli Italiani si diffusero anche a Feodosia (l’antica colonia genovese di Caffa), Simferopoli, Mariupol ed in alcuni altri porti russi della penisola di Crimea, soprattutto a Batumi e Novorossijsk. Secondo il “Comitato statale ucraino per le nazionalità”, gli Italiani sarebbero stati nel 1897 l’1,8% della popolazione della provincia di Kerč, percentuale passata al 2% nel 1921. Alcune fonti parlano specificatamente di tremila persone. Nel 1920 la chiesa di Kerč ebbe un parroco italiano, una scuola elementare, una biblioteca, una sala riunioni, un club e una società cooperativa. Il giornale locale Kerčenskij Rabocij in quel periodo pubblicava regolarmente articoli in lingua italiana. Con l’avvento del comunismo, gli Italiani vennero perseguitati con l’accusa di essere fascisti, e parte di essi fu costretta rimpatriare. A metà degli anni venti gli emigrati italiani antifascisti rifugiati in Unione Sovietica cominciarono ad interessarsi della minoranza italiana: le autorità sovietiche li inviarono da Mosca perché sovraintendessero la comunità. Essi ottennero la chiusura della chiesa grazie alle accuse di propaganda antisovietica contro il parroco che venne costretto a rientrare in Italia. Nel

Leggi tutto »

ATTENZIONE! Questo blog si è trasferito da Blosgpot a WordPress in data 16/01/2020.
Se dovessi riscontrare immagini mancanti, post incompleti o altri problemi causati dalla procedura di trasferimento, sei pregato di segnalarlo a info@amaraterramia.it, te ne sarò grato.